L’immediatezza realistica della messa in scena si configura in un ritmo centripeto, vorticoso e incessante volto a stritolare i personaggi.

Vienna 1900. Un narratore (Anton Wallbrook) entra in scena e recita davanti ad un palco, si cambia d’abito e si avvicina ad una giostra di quelle per i bambini: Il “girotondo” può cominciare. Un prostituta di nome Léocadie (Simone Signoret) conta i soldati che attraversano un portico: quando arriva il sesto di essi, lo seduce e lo conduce con sé. Sotto un ponte l’entreneuse e Franz (Serge Reggiani) consumano la loro passione. Subito dopo lui l’abbandona e si ritira frettolosamente in caserma. Qui lo aspetta il narratore, travestito da trombettiere, il quale lo invita a sbrigarsi per il contrappello, evitare la consegna, perché sabato sera “la ronde” ha bisogno di lui. La sera del sabato Franz presenzia ad una serata danzante al Prater; qui seduce una giovane cameriera di nome Marie (Simone Simon), la quale si lascia abbagliare dal fascino della divisa e si apparta con lui nel parco antistante la villa: qui i due si amano e poi si lasciano. Lui vuole continuare a ballare, lei lo aspetta, rientra in ritardo e viene licenziata. Il narratore la accompagna, lungo un passaggio temporale, verso un nuovo padrone. Tempo dopo Marie è a servizio presso una famiglia il cui figlio è un giovane studente di nome Alfred (Daniel Gélin). Una domenica il giovane è a casa da solo in attesa dell’arrivo del professore di francese. Marie, in cucina, legge una lettera di Franz di ritorno dalle manovre militari. Alfred, con la scusa di avere sete, chiede alla donna di portargli un bicchiere d’acqua; la seduce e con lei trascorre un pomeriggio d’amore. Il narratore, travestito da mercante maghrebino, invita l’ignaro professore a desistere dal recarsi a casa del giovane.

Dall’altra parte della città, in un lussuoso pied-a-terre, alcuni giorni dopo, il giovane Alfred attende l’arrivo di qualcuno. Una carrozza si ferma davanti all’edificio: una donna scende con molta circospezione e si avvia verso l’ingresso: è la Signora Emma Breitkopf (Danielle Darrieux) , donna borghese, elegante e sposata. Nell’appartamento, tra imbarazzo ed emozione il giovane e le donna si guardano e si studiano reciprocamente. I due sembrano non concludere nulla, al punto che il narratore vede la giostra incepparsi, sbuffare e singhiozzare: il meccanismo si ferma ed egli si deve mettere al lavoro per farlo ripartire prima che sia troppo tardi. Mentre Alfred si reca in cucina per prendere una bottiglia di vino, la donna si spoglia e si infila nel letto per attendere il giovane. I due si abbandonano ad una lunga passione poi, la donna si riveste celermente, saluta il giovane studente con la promessa di rivedersi al ballo la sera successiva. Emma Breitkopf torna a casa dal marito. I coniugi Breitkopf sono in camera da letto, sdraiati nei loro letti, vicini ma separati, discutono del passato, rielaborano ricordi e portano la discussione sul tema del tradimento. Poi ogni parola viene meno, i due fanno l’amore e si addormentano insieme.

Alcune sere dopo Charles Breitkopf (Fernand Gravey) ospita nel salottino privato di un ristorante una giovane e disinibita fanciulla di nome Anna. L’uomo, prima le offre la cena e poi si prodiga di avance nei suoi confronti. Affascinata dal lusso, dalla ricchezza, e dal proibito, Anna (Odette Joyeux) si abbandona alla passione dell’uomo. Al momento dei saluti promette al marito fedifrago che si rivedranno la sera dopo. L’uomo attenderà inutilmente seduto da solo al tavolo del privè. Anna ha incontrato un giovane poeta, Robert Kuhlenkanpf (Jean-Louis Barraut) e con lui trascorre un pomeriggio d’amore. Il poeta la lusinga, le promette piaceri e viaggi ma già alla sera l’ha dimenticata perché nel frattempo ha incontrato Charlotte un’esuberante soubrette con la quale si ritira nel suo camerino per dare sfogo ad una nuova passione.

Al mattino dopo Charlotte (Isa Miranda), ancora sdraiata nel letto di casa sua riceve un conte (Gérard Philipe) in alta uniforme militare. Qui, senza batter ciglio, dopo aver invitato il nobile a fermarsi i due consumano il loro amplesso mentre dai vetri filtra ancora il sole del mattino. Al momento del saluto la donna rinnova al conte l’invito per la sera stessa. La notte il conte si risveglia tutto intorpidito, in un luogo sconosciuto: ricorda l’ubriacatura della sera precedente, di aver cenato da solo con il suo levriero Harras. Il conte si risveglia in una stanza povera, semplice e disadorna. Nel letto di fronte a lui Léocadie giace addormentata. Il conte non ricorda di aver seguito la prostituta. L’uomo non ricorda di aver avuto con lei alcun rapporto sessuale, ma la donna afferma il contrario. Il conte si allontana con Harras e incontra il narratore. La giostra si è fermata, il girotondo è finito e il narratore si allontana e scompare sullo sfondo.

Il 7 Gennaio del 1897 Arthur Schnitzler termina la stesura di “Reigen” affermando che “Qualcosa di così irrappresentabile non si è ancora visto”, al punto che l’autore è dubbioso se dare alle stampe il suo dramma. Non a caso, la prima rappresentazione teatrale dell’opera è messa in scena solo venti anni dopo da Max Reinhardt al Kleines Schauspielhaus di Berlino nel 1921. E’ la prima di una serie di rappresentazioni tormentate e ostacolate dal moralismo e dalla furia censoria: a Vienna, tempo dopo, la messa in scena di “Reigen” scatena tumulti di piazza e interpellanze parlamentari.

La Ronde di Max Ophuls viene girato in Francia tra il gennaio e il marzo del 1950. Durante i 43 giorni di lavorazione le riprese si interrompono continuamente a causa dell’insolvenza nei pagamenti della casa di produzione La Sacha Gordine. Il film, una volta terminato, viene presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, accolto con favore dalla critica internazionale e accompagnato da proteste e clamori che giungono, da parte cattolica, fino al limite della scomunica – come dimostra il caso di Münster luogo in cui la chiesa impedisce la proiezione del film.

Sin dal prologo, La Ronde svela la sua complessità registica, in cui – già nella sequenza iniziale – emerge la cifra stilistica e avvolgente dei movimenti della macchina da presa di Ophuls: il piano sequenza iniziale viene realizzato dopo la costruzione di oltre cinquanta metri di binari, curve e scambi. Max Ophuls segue Arthur Schnitzler nella costruzione di La Ronde come un “ballet mecanique” in cui il tema “osceno” (nell’accezione greca del fuori scena) e l’immediatezza realistica della messa in scena si configurano in un ritmo centripeto vorticoso e incessante volto a stritolare i personaggi. Oltre alla circolarità del valzer, delle riprese, delle trombe delle scale, della giostra, Ophuls, progressivamente, restringe lo spazio abitativo dei personaggi portandoli ad una condizione claustrofobica e inabitabile dalla quale ognuno di loro è costretto a fuggire e, di conseguenza, entrare nella storia successiva.

di Fabrizio Fogliato

[CONTINUA]

 

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