Il corpo e la memoria
Quattro anni dopo Exhibition, il regista Jean-François Davy ritorna sulle tracce di Claudine Beccarie, la quale in quel film si era raccontata in un modo che, probabilmente, neanche lei aveva previsto. L’attrice per Davy si era rivelata come un canale interessante per uno studio più mirato dell’industria del sesso in rapida crescita. Affascinato dalla sua “musa” (dopo le riprese del film del 1975 i due ebbero anche una breve relazione) Davy aveva programmato di tornare da Claudine Beccarie per vedere quello che stava facendo, ogni quattro anni. Ecco quindi nascere Exhibition’ 79 dove, abilmente assistito dal direttore della fotografia Roger Fellous, il regista racconta la trasformazione contemporanea della donna e dell’industria pornografica. Il successivo episodio avrebbe dovuto essere girato nel 1983 ma l’attrice fece perdere le sue tracce. In Exhibition ‘79 troviamo una Beccarie disillusa e malinconica in netta contrapposizione esistenziale con la donna volitiva e spigliata di Exhibition. Niente sesso in questo film, incentrato non sul corpo, bensì sulla personalità, sull’anima di Claudine Beccarie che, all’epoca ha deciso di smettere di recitare davanti alle cineprese. Il regista, che qui rinuncia ad ogni forma di voyeurismo per mettere in scena, a posteriori, la memoria di un’epoca di speranze e libertà andate perdute oscilla, tra il tratteggiare il recente passato dell’industria hard – utilizzando segmenti del film precedente con l’audio distorto e la fotografia slavata e monocromatica – e il presente di un mercato, ormai deprivato di qualsivoglia contenuto e forma, fatto di prodotti amatoriali, performers improvvisati, e minacciato dall’imminente espansione del video.
Abbandonata la carriera di attrice e dopo un secondo divorzio dal collega performer Didier Faya e un aborto del figlio cercato e voluto (il cui desiderio era già espresso nel primo film), Claudine si è ritirata in un tranquillo paese di campagna per allevare conigli e galline, con l’aiuto un amica-fidanzata di nome Nova.
Alla traccia principale, quella dell’autoconfessione della donna si intrecciano una serie di segmenti (spesso volutamente mantenuti sugli stereotipi di genere e pieni di luoghi comuni) riguardanti giovani coppie datesi all’hard: l’obiettivo di Jean-François Davy è quello di provare ad analizzare la situazione del cinema per adulti alle porte degli anni ’80. Per fare questo Davy sposta l’attenzione su una serie di performers come Richard Lemieuvre (noto come Richard Allan), che racconta il suo infelice matrimonio con Liliane come conseguenza diretta del loro prendere parte insieme a film pornografici; una giovanissima Marilyn Jess (che qui usa ancora il suo vero nome: Dominique Troyes), che si racconta come innamorata e desiderosa di sposare (cosa che non avverrà) il suo compagno-performer Didier Humbert; la relazione malinconica e deprimente, raccontata attraverso l’intimità domestica tra Cathy Greiner (vero nome di Cathy Stewart) e il fidanzato Dominique Hérissou (nei film hard accreditato come “Irissou”). Segmenti che raccontano di un universo centripeto in cui i protagonisti all’inizio si illudono di poter essere liberi e, solo con il tempo, realisticamente, prendono consapevolezza che il loro lavoro sui set pornografici dà come moneta depressione, reciproche incomprensioni dileggio e disprezzo da parte della società (che nel frattempo sta cambiando rispetto alle aperture del decennio precedente).
La forza e il valore aggiunto di Exhibition ‘79 sta proprio nella capacità del regista di cogliere e fissare su pellicola il momento in cui l’illusione del piacere sessuale a pagamento, i facili guadagni dell’industria hard si scontano con le necessità del quotidiano di attori e attrici, mentre fuori, c’è una società che non è più disposta ad accettare la pornografia ma che, ipocritamente, non la nega ma la ghettizza per poterne fruire di nascosto. E’ il momento in cui il giocattolo si è rotto e in cui si deve cominciare a smontare lo spettacolo (non a caso nel film le immagini della Beccarie sono accompagnate da quelle degli operai intenti a smontare un traliccio vicino a casa sua), perché quello che rimane è solo la memoria di un’age d’or breve come un respiro. Quelle dei giovani performer amatoriali sono vite distrutte che vivono solo nel riflesso patinato dei fotogrammi dei loro film: stanchi, affranti, quasi mai sorridenti, incapaci di avere rapporti sessuali alla sera perché provati dalle fatiche del set, ostinati nel negare l’evidenza (ma le immagini contrastano fortemente con le loro dichiarazioni) sono i frutti di una società che, secondo Davy (qui a facile rischio moralismo) si sta autoannientando, che non ha più desideri reali ma solo iperreali, che vuole vedere sempre di più e sempre meglio. La parabola esistenziale di Claudine Beccarie è quindi il perfetto contraltare del rampantismo giovanile e alla sua cecità.
L’attrice, ormai ritiratasi in campagna vive sola (o al massimo con Nova) si dedica alla coltivazione del suo orto e alla cura degli animali da fattoria, si è isolata dal mondo, vive lontana dai riflettori e dice che la sua vita e la sua sessualità sono “ad un punto morto”. Racconta le sue ansie, custodisce gelosamente i passaggi più privati del suo passato, si lascia riprendere struccata e naturale, racconta del suo sciopero della fame per le manipolazioni subite da Exhibition negli anni a venire e si entusiasma per le lettere di ammirazione ricevute dai suoi fans. Osserva malinconicamente la pioggia, si indurisce quando Davy le fa notare le sue contraddizioni, sorride di fronte all’accoppiamento dei conigli e scopre la sua fragilità e tenerezza quando parla del rapporto con Nova.
Exhibition ’79, quindi, è soprattutto un film esistenziale in cui il corpo appare come un simulacro di un passato florido e rigoglioso mentre la memoria è ciò che rimane in un presente grigio, piovoso e incupito. Il tentativo, questa volta è quello di provare a raccontare una società intera nel momento del cambiamento attraverso la figura di una persona, un’attrice che per lungo tempo ne ha incarnato i desideri sessuali. L’operazione di Davy, in questo caso, però è troppo ambiziosa rispetto ai mezzi a disposizione perché Claudine Beccarie non ha né la personalità aggressiva né l’inquietante intelligenza di una Sylvia Bourdon. Inoltre, nel film si avverte anche che il rapporto tra lei e il regista è compromesso da questioni riguardanti il passato (c’è di mezzo anche una denuncia per questione di soldi) e pertanto privo tanto della sincerità dell’originale, quanto della fiducia reciproca per potersi raccontare fino in fondo. Non a caso Jean-François Davy, in questo film, si riappropria della filosofia della serie di Exhibition solo nel momento in cui padroneggia il materiale che conosce meglio: il rapporto tra immagine sullo schermo e sguardo dello spettatore.
Sorprendentemente lo fa attraverso una scelta insolita e bizzarra: quella della sequenza dello spettacolino di spogliarello alla fiera del paese in cui risiede Claudine. Quella operata dal regista è una scelta volta a mostrare due cose: da un lato come l’ostentazione del proprio corpo non sia dissimile dalla prostituzione e come il denaro (nonostante le parole di Claudine) sia comunque sempre una necessità, e dall’altro come il voyeurismo porti all’assuefazione e ad una degradante condizione di inferiorità. Lo spettacolino, brevissimo, improvvisato, in cui Claudine si spoglia fulmineamente mentre balla dietro un vetro avviene in uno squallido baraccone, tra cartacce e rifiuti in cui entrano indistintamente uomini giovani e vecchi, donne e coppie con neonati che per pochi spiccioli assistono (o meglio sono testimoni) alla brevissima messa in scena. Dall’alto, da dietro, alcuni bambini tentano di sbirciare all’interno del baraccone per cogliere fugacemente le nudità della donna. E’ una messa in scena di raro squallore in cui la m.d.p. di Jean-François Davy si incunea curiosa per riprendere più che il corpo di Claudine gli sguardi esterrefatti e soddisfatti di questo pubblico di paese che si accontenta delle briciole che cadono dal “banchetto” parigino e dei riflessi di un tempo che fu, qui incarnati dalla bellezza non più giovanissima di Claudine Beccarie. Il regista, dunque, un po’ ipocritamente, sembra dire che oramai tutto e perduto, che solo un ritorno alla natura e ad una vita fatta di fatica e di sudore può rendere felici.
Ma in fondo, forse, la sua è semplicemente la presa d’atto che un mondo è finito e che quello che inizia potrà essere peggiore o migliore di quello di prima, ma in cui rimarrà, comunque, sempre la memoria di un’epoca in cui riflettori, lustrini e pailettes hanno provato ad infilarsi tra le lenzuola e tra le nudità degli essere umani alla ricerca di una vita di piacere e godimento per poi accorgersi invece, terminata la sbornia, che si è trattato semplicemente dell’illusione di un attimo, come ben racconta il testo amaro e malinconico della canzone composta da Daniel Longuein che chiude il film sui titoli di coda. Ben diverso dalla marcetta dei titoli di testa che fa di Exhibition uno status-symbol, una parola da usare per rispondere al telefono, al ristorante, per ordinare un caffè…
Rien ne va plus, les jeux sont faits: ricordi di un’epoca, cartoline dal passato
Epilogo del film, Claudine Beccarie nella stalla mentre una vecchia munge una mucca. Davy: “Sei felice ora?”, Claudine: “Molto più che nel’75. Ti giuro. Niente a che vedere. Nel ’75 era una vita da nulla”. Davy: Meglio le grandi prospettive”, Claudine: “E le grandi speranze. Posso tutto. Tutto può accadre. Davy: “Ci vogliono soldi”, Claudine: “No…no, assolutamente no. Ho iniziato con due conigli…” Ecco il testo della canzone di Longuein le cui parole riecheggiano perfettamente spirito e sentimento di Exhibition’79. “Exhibition/Finiti i filmetti/Exhibition/Son tempi maledetti. Oggi distante dalla vita. Allevi conigli/Exhibition/Un giorno la vita è carogna e tu sei alla gogna/Bambina dal cuore fragile. Bambina dal corpo triste/Exhibition/ Seduta tra due sedie/Exhibition…iniziano le insidie. Ora torna a galla ma non rimpiangere nulla/Exhibitiuon/Ritorni te stessa/Exhibition/Una vera leonessa. Dì a te stessa quando soffri, domani andrà meglio./Exhibition/Destinazione tragica/Exhibition/Fermata neurologica. Cancella dalla memoria i sogni di un tempo/Exhibition/Un’altra vita inizia/Exhibition/Sei tu a condurre la danza. Non hai più bisogno della gloria. Il sole è con te/Exhibition/Scendi alla prossima/Exhibition/Non è stato male/Non guardare le stelle. I proiettori sono spenti/Exhibition/Ecco un finale/Exhibition/Orginale/Mandaci delle cartoline. Dicci che tutto va bene/Mandaci dell cartoline. Dicci che tutto va bene”.
di Fabrizio Fogliato