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BLANCHE (1971) di Walerian Borowczyk

Il primo passo di Borowczyk verso la rappresentazione autorale delle “dinamiche dello sguardo”

Siamo nel Medioevo francese, verso il 1200, in un castello abitato da un vassallo del Re (Michel Simon), dalla sua giovane moglie Blanche (Ligia Branice), e da Nicolas, figlio di primo letto del barone. Senza che il vecchio lo sospetti, madre e figliastro si amano teneramente, ma senza nemmeno il coraggio di dirselo giacché Blanche è fedelissima al suo signore e Nicolas devotissimo al padre. Arriva in visita il Re, col suo paggio soave Bartolomeo che ha fama di rubacuori, e scoppia la tempesta. Perché sia l’uno sia l’altro tentano di sedurre l’inespugnabile castellana, il paggio viene murato vivo, Nicolas per salvare l’onore dell’amata innocente si fa uccidere in duello, la donna si avvelena, Bartolomeo salvato in extremis viene straziato per vendetta, e il vecchio si pugnala.

CÉRÉMONIE D’AMOUR (REGINA DELLA NOTTE, 1987) di Walerian Borowczyk – Seconda parte

La chiesa di Saint Germain De Pres si trasforma in luogo mistico e astratto

Solo apparentemente, in Regina della notte, l’erotismo appare come implicito, in realtà proprio in questo film è pregnante e debordante (come lo era stato in Blanche), attraverso un processo di sottrazione della nudità e attraverso l’esaltazione, tanto del gesto quanto del dettaglio.

CÉRÉMONIE D’AMOUR (REGINA DELLA NOTTE, 1987) di Walerian Borowczyk – Prima parte

Il rapporto sessuale è uno strumento per fermare il tempo

Il titolo originale del film è lo stesso del romanzo di André Pieyre De Mandiargues, cioè “Tout disparaîtra”, così almeno compare sulle carte di lavorazione del film. Al momento dell’uscita però il titolo originale viene convertito nell’anonimo Cérémonie d’amour, mentre in Italia diventa Regina della notte, per richiamare nelle sale il pubblico-voyeur del circuito a luci rosse ormai avviato verso una crisi irreversibile.

BLIND HUSBANDS (Mariti ciechi/La legge della montagna, 1919) di Erich Von Stroheim

Erotismo latente, ambienti psicologici, rapporti crudeli, personaggi immorali, seduttori sordidi e luciferini nel primo film di Erich Von Stroheim

 

La biografia di alcuni registi spesso sfocia nella leggenda. Soprattutto durante il periodo della Silent Era in cui il personaggio pubblico diventa predominante su quello privato e – particolarmente durante gli anni ’10, in cui la figura di alcuni registi diventa sinonimo di clamore e successo – si registrano biografie prevalentemente immaginarie in grado di rappresentare al meglio personaggi dai contorni ben definiti senza creare distinzione tra dentro e fuori lo schermo. È il caso questo di Erich Von Stroheim il quale è prima attore, poi aiuto regista per David W. Griffith (Intollerance, 1915 e Hearts of the world, 1918) e, infine, regista dei suoi film.

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Nato vicino a Vienna nel 1885, emigra negli Stati Uniti all’inizio del ‘900. Sin da subito arricchisce il suo passato biografico di particolari inventati: il prefisso “Von” che richiama ad una discendenza nobile (mentre i genitori sono mercanti), il grado di ufficiale di cavalleria dell’impero austro-ungarico, (mentre a vent’anni diserta l’esercito) e una vocazione alla magniloquenza che se da un lato si manifesta nel suo cinema titanico, dall’altro diventa la zavorra che appesantisce ogni sua produzione – solo il primo dei suoi film può considerarsi veramente suo. L’intento di Stroheim è soprattutto quello di incarnare fuori e dentro lo schermo il suo personaggio feticcio, quello del militare prussiano, arrogante, perfido e meschino che indossa la divisa come una seconda pelle e che si atteggia con comportamento marziale e impeccabile salvo poi di svelare un animo dissoluto e immorale.

TRANS-EUROP-EXPRESS (1966) di Alain Robbe-Grillet

I lunghi binari dell’erotismo, ovvero la follia e il delirio di una società in divenire

 

“La pornografia per me non esiste” (Alain Robbe-Grillet), affermazione che spazza via ogni concessione erotica dal film (come invece, superficialmente, suggerisce il titolo italiano A pelle nuda), per posizionarlo in una dimensione coerente con l’epoca in cui è stato realizzato. Trans-Europ-Express è un film-laboratorio, in cui l’antipsicologismo con cui sono non-delineati i personaggi va di pari passo (parallelamente, come i binari del treno appunto) con elementi sadiani necessari all’autore per incunearsi nell’immaginario di una società che, come il treno del titolo, corre verso una liberazione sessuale (e non), fittizia e utopica. Non è casuale, quindi, che le tre parole componenti il nome del treno, ritornino nel film sulla copertina di un libro raffigurante un treno che sta per investire una donna legata sui binari (Transes), su una rivista di bondage (Europe) e sul settimanale L’Express sulla cui copertina il titolo rimanda a “l’uomo che morì 4 volte” (Express, e il chiaro riferimento al protagonista plurimo della vicenda del film). Quella costruita dall’inventore del Nouveau Roman è un’architettura ludica in cui il cinema è rappresentato come un gioco la cui natura contempla un creazione ed una scrittura fatte di continue ipotesi, cancellazioni e correzioni. La scelta, coerente con questa idea, che Robbe-Grillet persegue nel film attraverso la messa in scena di un erotismo “plastico e statico”, coincide con la necessità di desensualizzare le immagini e di sterilizzare l’eccitazione dello spettatore trasformando le donne (protagoniste del film) in manichini.

Trans-Europe-Express

LA BÊTE (LA BESTIA, 1975) di WALERIAN BOROWCZYK

La Bestia… ovvero, quando la perversione si fa arte e politica

La Bestia Feroce di cui si parla da qualche tempo è attualmente nei dintorni. Ha divorato ieri una fanciulla che sorvegliava il bestiame qui vicino. La provincia propone una ricompensa di 3000 monete per chiunque ucciderà questo animale, ma nessuno ha ancora trovato il momento per attaccarlo. (La Bête de Gévaudan, “Gazzette de France” 14 Gennaio 1765).

La bestialità e la zoofilia sono al centro dell’opera surrealista La Bête (la Bestia) di Walerian Borowczyk, che grazie alla Ripley’s Home Video è ora possibile apprezzare nella sua integralità e nel suo montaggio originale.

Le perversioni sono lo strumento che Borowczyk utilizza per concretizzare il desiderio e il piacere femminile: si va dal feticismo di Goto, l’Isola dell’Amore e de Il margine, al lesbismo e all’incesto presenti ne I Racconti immorali e in Interno di un convento, fino alla zoofilia de La Bestia e di Tre donne immorali?. L’orgasmo femminile è ciò che il regista polacco ha sempre cercato di rappresentare e lo ha fatto materializzando il desiderio, non importa se tenero o mostruoso, quello che conta è che la perversione nel cinema di Borowczyk non è mai tale, ma è l’unico strumento “puro” per evadere dalle costrizioni attraverso la fantasia.