I racconti proibiti di una signora perbene, ovvero, quando la verità coincide con il desiderio
Nel 1974, Radley Metzger autore fino a quel momento di interessanti soft-core, tra i quali Therese e Isabelle (id., 1968), The Lickerish Quartet (id., 1970) e Score (id., 1972, ma esiste anche una versione con inserti hard), con lo pseudonimo di Henry Paris comincia a firmare film pornografici caratterizzati da una spiccata cifra autoriale. L’uscita di The private afternoons of Pamela Mann, avvicina il cinema hard a quello hollywoodiano ricalcando gli stilemi della “Sofisticated Comedy” anni ’50, e spinge il celebre critico dell’Hollywood Press, Bill Margold, a scrivere: “The Private Afternoons of Pamela Mann segna la fine dei film porno usa e getta, privi di scopo, masturbatori, che entrano in un orifizio ed escono dall’altro” (Hollywood Press, Aprile 1975). Definito come “l’altro lato di Gerard Damiano” il cinema di Metzger/Paris è caratterizzato da un’ironia gustosa ed esplicita (anche nella scene di sesso) in netta contrapposizione con la serietà, la malinconia e la crudezza delle opere dell’ex-parrucchiere newyorkese: non a caso quello di Metzger/Paris è conosciuto come “porno-chic.
Le radici del suo cinema, tecnicamente ineccepibile, stratificato e complesso, elegante e raffinato (e mai volgare), sono da ricercare nell’epoca del cinema muto, come egli stesso conferma quando interrogato sulle sue fonti ispiratrici, dichiara: “Soprattutto i film di Cecil B. De Mille”. Sotto la veste del racconto romantico o a sfondo religioso, nei suoi film solleticava i sensi e mostrava più sesso di chiunque altro”. (Alex Stellino, Esotika, Erotika… Psicotika. Intervista a Radley Metzger, Nocturno book n.5). Il cinema del regista natio del Bronx, infatti, ha compreso appieno la lezione dell’illustre progenitore (al punto che alcuni suoi film appaiono chiaramente ispirati ad opere di De Mille), concentrando nella sfera delle elite newyorkesi, tra lusso, sfarzo e lussuria, gran parte delle sue storie, e diluendo lungo la continuità visiva stilemi e topoi del cinema demilliano, tra cui l’abbandono ai sensi, la trasgressione coniugale, il finale edificante e la sacralità dei sentimenti. Ripercorrere lo svilupparsi del cinema di Cecille B. De Mille permette di leggere al meglio l’opera di Metzger/Paris.
Cecil B. De Mille esordisce nel 1914 con due film: il western derivativo The Squaw Man e la commedia romantica Old Wives for New, concentrando la propria attenzione su due aspetti vincenti. Realizzare film popolari, semplici e immediati, “perchè la maggioranza degli spettatori aveva fondamentalmente voglia di due cose: soldi e sesso” (Benjamin Hampton); realizzare film “trasgressivi” dal finale edificante e moralmente ineccepibile in grado di rassicurare lo spettatore. Nel 1915, tra gli altri, De Mille realizza il film The Cheat (I prevaricatori), in cui in cinquantotto minuti di durata distilla tradimento, violenza, sessualità e infine il ricongiungimento coniugale, ponendo le basi programmatiche del suo cinema a venire. Alla fine degli anni ’10, il dittico Don’t Change Your Husband (Non cambiate marito, 1919) e Why Change Your Wife? (Perchè cambiate moglie?, 1920), codifica il cinema del regista su canoni ben precisi: un mondo lussuoso e inaccessibile, fa da sfondo a storie di coppie altolocate che vivono in sfarzosi appartamenti ma oppressi dal tedio della routine, trovano nell’adulterio l’opportunità di vivere una vita priva di costrizioni; dopo la trasgressione, il peccato e la lussuria però, il ritorno al tetto coniugale e il ricongiungimento morale con il partner portano a considerare il matrimonio non come un dovere ma come un piacere, e la quotidianità come la ruota su cui far girare le proprie passioni.
Cecil B. De Mille riesce dunque, “miracolosamente” a coniugare trasgressione e morale, tradimento e fedeltà, traducendo per immagini i desideri repressi degli spettatori, coniugando vertigine e rassicurazione attraverso la discesa negli “inferi” del degrado prima, e la risalita verso il “paradiso” della normalità poi. Riesce insomma, a rimanere in equilibrio precario tra ambienti abietti (boduoire, night-club, ville misteriose) e quotidianità (la vita coniugale, i litigi, il “grande” amore), costruendo una messa in scena fastosa e ridondante che trasuda erotismo e passione in ogni fotogramma. Questo schema viene re-inventato ed attualizzato da Radley Metzer attraverso storie semplici ambientate nei luoghi del jet-set internazionale (Roma, New York, Parigi, Montecarlo..) e immerse in pellicole curate in ogni dettaglio in cui la meticolosità costitutiva del profilmico e la ricercatezza visiva, assurgono a sublimazione della tecnica rappresentativa. L’eleganza visiva e dei costumi, l’esibizione di una tecnica raffinata e la costruzione “artistica” del montaggio, contribuiscono alla rappresentazione di mondi dagli echi demilliani, il cui scenario è equamente diviso tra dialoghi ironici e spiazzanti ed immagini sofisticate e mai banali. L’esordio nell’hard-core, è rappresentato da The Private Afternoons of Pamela Mann, film che, non a caso, è remake spurio di Don’t Change Your Husband di Cecil B. De Mille, quasi un omaggio “trasgressivo” al proprio mentore e maestro.
Radley Metzger nasce il 21 Gennaio 1929 a New York City e vive la sua infanzia tra i casermoni del Bronx. All’inizio della sua carriera, lavora soprattutto come montatore specializzato nella costruzione dei trailers prima e di film europei poi. Esordisce alla regia sul finire degli anni ’50 con Dark Odissey (id, 1959, co-diretto con William Kyriakis), un film in bianco e nero costruito attorno al conflitto tra culture e imperniato sulle vicende di un emigrante greco che giunge negli Stati Uniti per vendicare la sorella disonorata. Il film sta a metà tra John Cassavetes e il primo Martin Scorsese, ma si rivela un flop clamoroso al punto da ridurre sul lastrico il regista il quale non riesce neanche a pagare la pellicola utilizzata. Deluso e affranto, Metzger si allontana temporaneamente dal cinema, per poi reinventarsi (con successo) come distributore. Insieme con Ava Leighton, nel 1960 fonda la Audubon Films, una società di distribuzione cinematografica specializzata nell’importazione di film sexploitation provenienti dall’Europa.
Mansione che gli permette di guadagnare discretamente e gli offre la possibilità di tentare nuovamente la strada della regia, questa volta attraverso la creazione di un cinema erotico, aristocratico e sofisticato, prima di diventare (con il passaggio all’hard) il massimo esponente del “porno-chic”. Molti dei suoi film (soft e hard) sono adattamenti di romanzi o altre fonti letterarie, tra cui “La Dame aux Camelie” (Camille 2000, 1969), “Carmen” (Carmen Baby, 1967), “Pigmalione” (The Opening of Misty Beethoven, 1976), “Therese e Isabelle” (id, 1968), “Naked came a stranger” (id, 1975), films attraverso i quali elabora e perfeziona uno stile di regia fluido ed elegante, teso ad anticipare (nei tempi e nei fatti) il limite del mostrabile attraverso l’esasperazione del concetto di scopofilia: gli amplessi e le nudità sono spiati, rubati, ripresi attraverso vetri smerigliati o mostrati mediante un complicato gioco di specchi; le scene di sesso, ogni volta, appaiono diverse sia nella realtà che nella finzione della ripresa (riprodotta da vari supporti), mai banali e soprattutto raramente ripetitive o prevedibili.
L’obiettivo per il regista è sempre uno: provare a districare l’intricata matassa in cui verità e finzione si mescolano irrimediabilmente. Si può quindi affermare chela sua opera è tesa alla ricerca del concetto ontologico di verità che nel porno coincide con l’orgasmo. In questo senso, il primo hard firmato Henry Paris, The Private Afternoons of Pamela Mann, appare nella sua semplicità persino programmatico, perchè da un lato vuole mostrare il piacere della donna spingendosi fino al punto di non ritorno, cioè quando i sospiri si esauriscono e la macchina da presa rimane a fuoco sul primo piano del volto estasiato e sofferente, e dall’altro tende a costruire un’architettura filmica dagli esisti imprevedibili, in cui il finale morale ed edificante rimane sospeso nel dubbio che tutto ciò a cui si è assistito sia il frutto di una scientifica messa in scena operata dal marito per regalare piacere alla moglie.
Pamela (Barbara Bourbon) sembra vivere un momento di crisi all’interno del suo matrimonio, mentre il marito (Allan Marlowe) decide di farla pedinare da un detective, la donna si concede a svariati incontri sessuali, alcuni scelti, altri subiti, come lo stupro nel garage ad opera di Berverly (Darby Lloyd Rains) e Patrick (Jamey Gillis [Jamine Gillis]). La donna, non disdegna incontri lesbici con una sua amica prostituta di nome Linda (Georgina Spelvin), prima di concedersi al detective stesso. Nel finale, i vari personaggi si dimostrano essere burattini orchestrati ad arte dal marito per offrire alla moglie un regalo speciale per l’anniversario di matrimonio.
Il tono del film, quello di una commedia sofisticata, si rivela già dalla prima sequenza che mostra il detective intento a riprendere (con macchina da presa sul casco, decenni prima di Kika (id., 1993) di Pedro Almodovar) ciò che accade dentro a un appartamento, mentre la musica classica detta il ritmo della fellatio. Una volta rientrato dal cliente per mostrare quanto ripreso, il detective scopre che non è la moglie a tradire il marito, bensì quest’ultimo ad essere omosessuale (“Sono sei mesi che non vedo la sua faccia”). Segue una scena ironica che, ripetuta più volte all’interno del film, funge da contrappunto goliardico all’evolversi della vicenda: una segretaria annoiata (e apparentemente frigida) deve subire le avance di un collega che si avvicina, si masturba e le eiacula sul viso; ogni volta la donna sbuffa, dà segni di insofferenza e commenta: “It’s disgunting!”. Successivamente, ogni volta che l’uomo si avvicina la donna si mette al collo un tovagliolo di carta con disegnata un’aragosta, per salvaguardare il vestito dal seme dell’uomo, fino a quando, nell’ultimo siparietto, la vediamo sdraiata sulla scrivania intenta a masturbarsi mentre si rivolge all’uomo reclamando un rapporto “normale”. Questa gag a sfondo sessuale è testimonianza diretta sia della capacità di Metzger/Paris di dirigere gli attori e farli recitare con credibilità anche durante le scene di sesso, sia della maestria con cui il regista cambia più volte registro narrativo all’interno del film, declinando i rapporti sessuali attraverso la goliardia, la serietà, la malinconia e la violenza, conferendo alla pellicola un robusto impianto narrativo.
Assieme a Gerard Damiano, Radley Metzger è stato l’unico regista hard capace di costruire una narrazione solida e sfaccettata, impreziosita da dialoghi credibili (e non solo di raccordo tra un amplesso e l’altro), lavorando tanto sull’empatia che sull’emotività dello spettatore. Egli stesso ha dichiarato: “Penso che l’erotismo dipenda in gran parte dalla preparazione. In buona parte dei film porno non vedi altro che due corpi. Possono essere uomini, ma se fossero scimmie o cani non cambierebbe molto. Ciò che viene mostrato è un atto meramente biologico, senza altri fronzoli. La cosa che ho fatto è stato riprendere l’erotismo dei film precedenti ed applicarlo all’hard. C’era una storia, un’idea centrale attorno a cui si lavorava, e le scene hard diventavano così una naturale estensione delle azioni dei personaggi”.
In The Private Afternoons of Pamela Mann è centrale il concetto di verità/orgasmo, attorno a cui la sapiente regia di Metzger orchestra la sceneggiatura di John F. Goff (as Jake Barnes), illuminata dalle luci pastello e autunnali di Marcel All e ritmata sulle musiche etno-beat di Robert Rochester. Per enucleare la “verità” Metzger ricorre ad un’esibizione di tecnica che contempla insert in super-8, rallenty, elaborazioni sonore, inquadrature a plongèe, mai fine a se stessa e la utilizzata come un modulatore di frequenza all’interno di un film in cui gli atti sessuali corrispondono ai numeri di un musical, mentre l’inside-joke narrativo disarticola la linearità della continuità visiva. Il monologo di Mr. Mann sulle abitudini della moglie diventa così, al termine del film, l’elemento rivelatore della strategia coniugale che, esplicita l’intelligenza dell’uomo/marito in contrapposizione con la spocchia presuntuosa del detective che si atteggia psicologo da quatto soldi e si illude di poter conoscere lo stato delle cose, promettendo a Mr. Mann: “Non si preoccupi, avrà la verità!”.
Ciò che il detective (metafora dello spettatore) non sa è che Mr. Mann gli ha appena raccontato come si svolgeranno i fatti (e la trama del film) perchè pianificati da lui: “Mia moglie, Pamela, non penso che abbia molto tempo per spassarsela. È una donna molto attiva, lavora nel sociale. Le piace sia passeggiare da sola nel parco che stare in mezzo agli altri. Potrebbe stare per conto suo ma preferisce aiutare la gente ed impegnarsi politicamente. Al mattino la prima cosa che fa è la ginnastica. Dice che le serve per far ripartire il cuore poi si trucca, fa colazione, e inizia la giornata”. Ad ogni frase corrisponde un’azione sessuale nel seguito del film: l’impegno nel sociale si traduce nell’incontro lesbico con Linda (con un audace, per l’epoca, anal-finger); la passeggiata nel parco diventa il finto-stupro (ma la scena è realistica e disturbante) ad opera di Beverly e Patrick; l’andare al parco “da sola” coincide con la fellatio praticata durante il temporale sotto il ponte di Sutton Place; l’impegno politico con la masturbazione del candidato nel retro dell’albergo; infine la ginnastica diventa il piacere solitario di Pamela di fronte allo specchio (come viene mostrato dalle immagini montate sulle parole del marito). Il “gioco” non è dunque rivelato e si sviluppa attraverso la costruzione di una tensione emotiva latente e crescente, stemperata dall’ironia dei duetti tra Mr. Mann e il detective, il quale di fronte allo scorrere delle riprese in super-8 di una fellatio praticata da Pamela, afferma: “Le piace avere un uccello in bocca, come ad altre il cioccolato…” il marito lo guarda sorpreso e interdetto e replica: “Lei è un vero poeta!”
Ma quale è la verità? Quale è l’essenza di Pamela che il detective anela a trovare? Quale è il misterioso potere che sembra animare le azioni e i comportamenti della donna? Per Radley Metzger la “verità” non esiste, la natura dell’orgasmo è racchiusa tra due pareti invalicabili: la realtà e la sua riproduzione (tramite lo specchio o il super-8 non ha importanza). Così la scena dello stupro nel garage è violenta, “sporca”, orchestrata sulla negazione del corpo (sia della vittima che del carnefice) e sull’uso esasperato e insistito del primo piano che mostra il volto di Pamela intento a succhiare il membro di Patrick, o sul dettaglio della fibbia della cinghia di quest’ultimo che dondola al ritmo della fellatio: il risultato è quello di una dilatazione temporale dell’atto, di una sua visione “forzata” e iperreale, estesa fino all’arrivo dell’orgasmo, al termine del quale il corpo nudo e provato della donna può essere, nuovamente, mostrato. Allo stesso modo il super-8 che mostra la fellatio al parco di Sutton Place, avanza al rallentatore e la slow-motion, comprende il cadere del seme maschile, l’estasi del P.P.P. di Pamela, e modifica perfino la musica extra-diegetica che fa da sfondo alla scena (deformata dall’uso del sintetizzatore per aumentare la durata dell’orgasmo).
Ma è nel finale, nell’amplesso davanti allo specchio tra Pamela e il detective, in cui al volto del maschio in P.P. corrisponde nel riflesso quello della donna, in profondità di campo, intenta nella fellatio, che Metzger/Paris concettualizza la riproduzione dell’immagine hard e al contempo denuncia la sua impotenza di regista di fronte alla forza dirompente del sesso “reale”: filmare l’orgasmo è impossibile, si può solo mostrare la sua immagine riflessa e pertanto falsa. Il finale edificante, con l’amplesso “celebrativo” tra marito e moglie è attraversato dal montaggio delle immagini essenziali del film: il montaggio parallelo, unito alla musica ridondante, restituisce alla scena un senso “epico”, ed è volto a dimostrare l’impossibile sovrapposizione tra l’atto sessuale praticato e quello ripreso (e desiderato), tra quello vissuto e quello visto, insomma, tra sentimenti e sesso. Terminato il film, scende il sipario, come se si trattasse di una rappresentazione teatrale, mentre i titoli di coda, ironicamente, annunciano un finto seguito: For the further adventures of Pamela Mann, watch: “Pamela Mann’s Horn of Plenty”…coming soon!
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