Ritratto selvaggio di un paese senza futuro
Erroneamente si parla, da sempre, di Avere vent’anni come di un road movie: in realtà il film si svolge per l’80% a Roma e solo per un 20% affronta spostamenti e/o divagazioni “on the road”. Certo se lo si intende come un “viaggio” all’interno del contesto sociale italiano di quegli anni, allora il genere può apparire appropriato, altrimenti non si può non notare come la pellicola di Fernando di Leo altro non sia che la rappresentazione spettrale di qualcosa che è esistito nella mente delle giovani generazioni e subito svanito con le percosse e la repressione autocratica di una nazione che vuole limitare la libertà in quanto ritiene che questa è foriera solo di disordine all’interno dell’ordine dello status-quo precostituito.
Non a caso in Brucia ragazzo brucia Clara che ha appena provato e vissuto il piacere dell’orgasmo femminile, dopo aver raccontato la sua scappatella al marito (il quale dopo, anziché soccorrerla, la lascerà morire per giustificare il suo senso dell’ordine) si sente dire: “Io ti ho dato un ordine e tu l’hai distrutto”; non a caso in Amarsi male il contestatore Carlo, alla fine sceglie la strada sicura della professione e del matrimonio borghese senza sapere, però, che la scelta non è sua ma del fratello tutore del “suo ordine” che ha pagato Anna perché lo lasciasse; non a caso in Avere vent’anni il commissario Zamboni organizza retate per rimettere “ordine” e per spartirsi con l’informatore “riccioletto” gloria e titoli sui giornali.
L’ordine e il disordine dunque, che nell’italica accezione si scrivono conformismo e libertà: quelle stesse che alcuni anni prima, nel 1967 aveva duramente attaccato il road movie (questo sì) indipendente Morire Gratis di Sandro Franchina. Un viaggio verso la morte che il protagonista intraprende con consapevolezza perché come dice lui: “Io ho solo paura di morire gratis… per niente”. Il film di Franchina con Franco Angeli e Karen Blaunguernon è il padre nobile di Avere vent’anni, con due protagonisti (qui un uomo e una donna) che come Tia e Lina (possibili acronimi di Italian?) sono colpevoli, un po’ nichilisti, un po’ “giovani belli e incazzati” e un po’ ingenui, inadatti, come le protagoniste del film dileiano, ad incarnare il sogno/desiderio di libertà in una società sessuofoba e “fascista”.
Il misconosciuto (e mai distribuito in Italia) Morire Gratis racconta la strada, “mito” del Boom ne Il Sorpasso (1962) di Dino Risi, come la tomba di un cambiamento impossibile: “Cambiare tutto affinchè nulla cambi”. Enzo e Michelle, i due giovani al centro del film, fanno ogni cosa e compiono le loro scelte solo per opportunismo e utilitarismo, e in questo Lia e Tina gli sono perfettamente sovrapponibili: la vita è per tutti e quattro da intendere come opportunità, raggiungimento di un obiettivo senza fatica e una pioggia continua di denaro senza spiegazioni e motivazioni. Il pessimismo (che come si sa appartiene ai grandi) di Fernando di Leo che prende forma plastica nel finale allucinante di Avere vent’anni, si plasma già nelle ultime inquadrature di Morire Gratis, quella del pestaggio selvaggio e della morte per incidente (e quindi “per niente”) dei due giovani, perché in fondo anche Tina e Lia muoiono gratis.
Ma per prendere consistenza e forma filmica, il pessimismo necessita di tempo, di conferme, di intuizioni e di sentenze e deve passare dalle contraddizioni di una società in rivolta divisa tra conformismo ed emancipazione, rassicurata dal primo e terrorizzata dalla seconda. Non è casuale quindi che certi ambienti e certe battute di Brucia ragazzo brucia e di Amarsi male, ritornino in Avere vent’anni, perché il film del 1978 è per il regista la rappresentazione per immagini del cimitero delle illusioni. La comune è la traduzione fatiscente della cabina di Giancarlo in Brucia ragazzo brucia: stesse scritte alle pareti, altre aggiunte, ma dieci anni dopo il’68, non c’è più posto né per le margherite né per i colori, ma solo per stanze dai muri sbrecciati tappezzati da poster, vicino a quelli di JFK, Einstein, Marx, che mostrano i nuovi “miti” dell’imminente società dello spettacolo Mia Martini, Lucio Dalla Alain Delon…
La comune di Piazza Dante 21 (anche il richiamo paradossale a Dante non pare lì per caso) è un luogo abitato da fantasmi, tra donne incapaci di fare le madri, mezzi uomini (di cui si vedono solo le gambe), un ex promessa della cultura annichilito dalla droga e un regista che mescola vita reale con “Scum” di Valerie Solanas. Nella comune l’inattività e l’ignavia sono la norma, sui tavoli fa bella mostra di sé la bottiglia di Coca Cola, vegetano uomini e donne in balia di se stessi, incapaci di prendere decisioni, pronti a mendicare qualche soldo in cambio di prestazioni sessuali, oppure intenti a trascorrere la giornate (e la vita) dormendo o drogandosi: l’immagine è quella di una festa infinita, protrattasi talmente a lungo e senza motivo da essere diventata noiosa e rivoltante.
di Fabrizio Fogliato