Invito a cena …con cinismo

 

Atto I: Ritratto di una famiglia americana

Prima di tutto c’è un’immagine che colpisce: lo sguardo di Jane alla pagina internet sulla chirurgia plastica per rifarsi il seno, prima di uscire di casa per andare a scuola. Un frammento, una scheggia di desiderio, veloce e fugace, che lentamente con il proseguo del film viene meno grazie alla consapevolezza, che la ragazza acquisisce, in merito a se stessa e al suo corpo, lungo la strada della sua relazione con Ricky. Consapevolezza e desiderio, due parametri che stridono fortemente con l’immagine plastica della famiglia: quella che Mendes mostra attraverso un lento zoom in avanti, immersa in una atmosfera sospesa mentre i tre componenti sono seduti a cena; al centro del tavolo un mazzo di American Beauty ben illuminato da un fascio di luce, posizione di oggetti e persone perfettamente ordinata, la simmetria dello spazio delimitata dalla presenza delle candele, insomma il ritratto patinato della famiglia americana. Per mostrare che l’apparenza inganna Mendes ricorre alla presenza di un controcampo muto (mostrato attraverso la ripresa video della handycam di Ricky), in cui non c’è bisogno di parole per vedere come il rapporto tra Jane e suo padre sia irrimediabilmente compromesso e come la madre Carolyn sia totalmente impotente a causa della sua pochezza e fragilità.

Fragilità che emerge subito dopo in una delle scene, anche stilisticamente, più riuscite del film. Carolyn è un agente immobiliare, e il film di Mendes mostra perfettamente come questo tipo di mercato fosse vitale e movimentato prima della crisi del 2007, che vive il suo lavoro in perenne tensione e frustrazione. La competizione con Buddy Kane, “il re dell’immobiliare” come scritto sui cartelloni pubblicitari, diventa per la donna una vera e propria ossessione quotidiana, al punto da ripetersi come un mantra propiziatorio la frase “Voglio vendere questa casa, oggi… voglio vendere questa casa, oggi… voglio vendere questa casa, oggi…”, ogni volta che si appresta a vendere una nuova abitazione. La scena che si apre con la frase propiziatoria mostra in sequenza il meticoloso lavoro di pulizia e di home-stager (figura molto diffusa in america: colui che prepara la casa con un arredamento-prototipo in grado di aderire ai desideri degli e ventuali compratori e facilitare così la vendita dell’immobile) fatto dalla donna; Mendes ricorre a movimenti stilizzati e meccanici accentuati dalla recitazione “sincopata” della Bening, che descrivono il tutto come una vera e propria performance. La scena si chiude sulla delusione della donna per aver fallito l’obiettivo di giornata, prima di abbandonarsi al pianto e alla disperazione e schiaffeggiarsi violentemente intimandosi: “Smettila, tu non sei debole”. Carolyn pertanto è l’archetipo di una figura (che oggi dopo il crollo di Lehman Brothers è pressochè estinta) costruita a a tavolino dalla società: il successo economico è il termometro del proprio successo esistenziale, quando il primo viene meno va in cortocircuito anche il secondo e il “sogno americano” si sbriciola in mille pezzi.

Sogno, che nell’immaginario maschile è rappresentato dall’immagine iconica di Marilyn Monroe, e che pertanto prende forma nel personaggio di Angela Hayes, che prima cattura l’attenzione di Lester attraverso il numero musicale in palestra (mostrato da Mendes ricorrendo alla coreografia tradizionale del musical americano, con tanto di luce ad “occhio di bue” a circondare il soggetto principale), poi dà vita a visioni erotico-masturbatorie come quella sul soffitto della camera da letto. Qui, non a caso, Angela compare alla vista di Lester distesa su un tappeto di petali di rose rose (sempre le American Beauty) nella stessa posizione dell’immagine per eccellenza con cui viene lanciata la figura di Marilyn, quella dove compare lei nuda sul drappo rosso, dimostrando come la sua figura altro non sia che l’incarnazione del sogno erotico di ogni americano medio. E’ la stessa Angela a confermare la sua “natura”, quando mentre è in macchina con Jane afferma: “Se la gente che neanche conosco mi guarda e mi vuole scopare… significa che sono davvero sputata per fare la modella. Perchè non c’è niente di peggio nella vita che essere una qualunque”. Sam Mendes trasfigura Angela da personaggio reale a metafora dei “tempi moderni”: i movimenti rallentati e ripetuti con cui appare nelle visioni erotiche di Lester (con tanto di caduta nel cattivo gusto nella scena in cui Jane la invita a dormire a casa sua e dalla bottiglia di birra impugnata da Lester esce copiosa la schiuma) fanno di Angela un’icona del sesso, incarnazione del proibito, e prototipo della donna disponibile a tutto pur di conquistarsi un ruolo sociale di primo piano, ma al contempo, il regista ne marginalizza la figura attraverso un ingegnoso espediente, quello delle immagini video di Ricky che ogni volta escludono dal campo la figura di Angela per concentrasi su quella di Jane. Memorabile la scena davanti alla finestra dove la Hays si dimena ammiccante di fronte all’occhio indiscreto della handycam, mentre il controcampo, dal mirino della videocamera, mostra allo spettatore come lo zoom di Ricky chiuda sull’immagine del volto di Jane riflessa nello specchio.

 

Atto II: New American life

Il punto di rottura di tutta la vicenda è racchiuso nella masturbazione notturna e “liberatoria” di Lester, e che si chiude con le parole sincere (le uniche di tutto il film pronunciate dall’uyomo): “Questo non è più un matrimonio…da anni”. Anche Carolyn sembra che non aspettasse altro, visto che non esita a buttarsi tra le braccia di Budyy Kane, ma il suo, forse, è solo un tentativo di ascesa professionale, mentre attorno alla coppia si sviluppa un vortice di ricatti e di veti incrociati. In American Beatuty tutti ricattano e sono ricattabili, e le parole che Lester pronuncia di fronte al “tagliateste” aziendale suonano sia come una sentenza sia come un epitaffio:Sono solo uno qualunque… che non ha niente da perdere”. Mentre Carolyn comincia a sparare al poligono per rilassarsi, Lester riconquista la sua adolescenza tra canne, fast-food, palestra (perchè ad Angela piacciono i muscoli) e macchine (la Firebird del 1970). Non a caso alla dirigente di Mr. Smiley al momento della richiesta di lavoro dice: “Cerco il minor accumulo possibile di responsabilità”. La regressione degli adulti, è per Mendes l’aspetto critico di una società che anzichè assumersele sfugge le sue responsabilità, e nella sceneggiatura di Alan Ball non è difficile intravedere (attraverso i continui riferimenti agli anni ’70) come il germe di tutto ciò sia racchiuso nella controcultura hippy a cui questi nuovi borghesi arricchiti appartenevano in passato. Il contro campo di questa regressione è direttamente proporzionale, e passa attraverso la crescita degli adolescenti e il loro confronto con il mondo.

Adolescenti alla disperata ricerca di realtà e di “verità” come mostrato nella scena in cui Jane e Ricky tornano a casa a piedi camminando lungo un viale, metafora naturale di ogni crescita, e discutono della morte, al passaggio di un funerale, arrivando a dire come questa possa essere bellissima solo perchè reale e quindi distante dalla falsità di “plastica” di tutti i giorni. Emblematiche sono le parole riferite dal ragazzo in merito ad un filmato da lui realizzato su una barbona morente: “E’ straordinario, è come se Dio ti stesse guardando”.

Sam Mendes replica in questo atto (stessa inquadratura e stessa scenografia e composizione del quadro) la scena iniziale della cena di famiglia, ma dal tavolo spariscono le rose, l’atmosfera è grottesca e la tensione palpabile: l’idillio spezzato, la realtà ha prevalso sull’apparenza e l’immagine patinata del nucleo fondante di ogni società irrimediabilmente compromessa. E proprio in questa seconda parte del film il regista porta a termine il discorso accennato sull’interferenza tra immagine in 35mm. e quella video, mostrando come la seconda, quella che riprende la realtà, sia soggetta all’intrusione improvvisa e inaspettata del perturbante e possa cambiare registro narrativo pur mantenendo la stessa forma. Emblematica è la scena in cui Jane si spoglia davanti alla finestra sia per soddisfare il piacere voyeuristico di Ricky sia per sancire l’eliminazione del suo complesso fisico riguardo al seno. L’inquadratura, nel controcampo della soggettiva della handycam, presenta il riquadro della finestra di casa Fisk come la base del quadro: sulla destra l’immagine del ragazzo che sta filmando, sulla sinistra, nello schermo del televisore posto alle sue spalle l’immagine di Jane che si spoglia. Nella stessa inquadratura si concentrano dunque guardante e guardato, in una rappresentazione impossibile della contiguità dei punti di vista. Ma è proprio questa “rappresentazione impossibile”, a dare a Mendes la possibilità di condensare in pochi frames il discorso più compatto e coerente di tutto il film. Quando la stessa inquadratura, senza soluzione di continuità, mostra l’intrusione violenta del padre di Ricky e il successivo pestaggio del figlio, la macchina da presa di Mendes rimane impassibile nel mostrare il passaggio tra erotismo e violenza. Il regista, dunque, attribuisce all’immagine video il potere di rappresentare il reale e, paradossalmente di mutare continuamente la tipologia di registro narrativo. Non a caso, questo secondo atto, si chiude con la ripresa della sequenza del prologo, questa volta mostrando il campo e controcampo tra Jane e Ricky, e chiudendo la scena con le parole di Jane, che a questo punto rassicurano lo spettatore in merito alla sua richiesta di uccisione del padre: “Sai che non dico sul serio, vero?”.

 

Atto III: Una vita lunga un giorno

L’ultimo atto, quello che mostra gli ultimi momenti della vita di Lester, e quello che porta a termine tutti i discorsi lasciati in sospeso, è sicuramente il più debole, sia per il continuo inanellarsi di stereotipi sia per una ricerca (inutile) di un possibile happy ending. Gli aspetti più interessanti di quest’ultima parte sono sicuramente due. Il primo quello che mette a confronto Jane e Lester e che ribalta i ruoli di responsabilità tra figlia e genitore, consegnando alla prima la maturità dell’adulto e relegando il secondo ad un’immaturità adolescenziale che già sa di condanna. Nella cucina, riprendendo il luogo della prima discussione tra padre e figlia, Sam Mendes mostra questo nuovo confronto giocando la dialettica su un sincero cinismo, come quando Jane si rivolge al padre in riferimento alla presenza di Angela in casa: “Mi sentivo imbarazzata a portarla qui, per colpa tua… e del tuo comportamento… Papà! Non fai che fissarla…come un ubriaco… è disgustoso”, e Lester, anziché prendere coscienza della sua degenerazione, replica stizzito: “Stai molto attenta Jane, rischi di diventare una rompipalle… proprio come tua madre”. Il secondo aspetto interessante è quello con cui Mendes definisce la falsità e la fallacia dell’immagine filmica, che non può mostrare la realtà, ma solo la sua apparenza, come quando fa vedere, con gli occhi del padre di Ricky, la scena che si svolge nel garage di fronte a casa sua. Non è casuale che l’uomo, scambi per una prestazione omosessuale il semplice scambio commerciale di marjuana tra Lester e suo figlio Ricky; e altrettanto non casuale il fatto, che questa scena, generi la successiva reazione a catena che si chiude con l’uccisione di Lester da parte del marine. A causa del comportamento del figlio egli ha involontariamente manifestato a Lester la sua omosessualità repressa: quell’uomo conosce il suo segreto e quindi deve essere eliminato. Il film si chiude con il richiamo pleonastico e presuntuoso (e molto furbo) alla presenza della bellezza nel mondo, la quale, secondo la sceneggiatura del film dovrebbe perfino rendere felici di fronte alla morte.

di Fabrizio Fogliato

AMERICAN BEAUTY
TITOLO ORIGINALE: AMERICAN BEAUTY
GENERE: Drammatico
ANNO: 1999
PAESE: USA
DURATA: 121min.
REGIA: Sam Mendes
SCENEGGIATURA: Alan Ball
FOTOGRAFIA:Conrad L. Hall
MONTAGGIO: Christopher Greenbury, Tariq Anwar MUSICHE: Thomas Newman
PRODUZIONE: DREAMWORKS S.K.G.
ATTORI: Thora Birch, Chris Cooper, Peter Gallagher, Scott Bakula, Sam Robards, Allison Janney, Barry Del Sherman, Ara Celi, John Cho, Wes Bentley, Mena Suvari, Kevin Spacey, Annette Bening

 

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