Roma: l’altra faccia della “dolce vita”
Film per lungo tempo irreperibile (da pochi giorni disponibile in DVD), uscito in poche copie nel 1973, e subito dopo scomparso nell’anonimato più totale, Ingrid sulla strada è un’opera obliqua e debordante, in cui il regista ricostruisce un ritratto isterico e crudele di una città, Roma, ormai divenuta una macabra barzelletta. Roma è il centro dell’azione, e viene mostrata in maniera antitetica rispetto ai film precedenti: un frastuono di voci e di rumori affestellati senza soluzione di continuità in una metropoli caotica e piovosa, sempre sull’orlo del tracollo, da cui è scomparsa ogni immagine turistica e ogni bellezza antica per lasciare il posto ai prati sterrati e alle strade sbrecciate che corrono sotto il raccordo anulare. Brunello Rondi, con Ingrid sulla strada è come se avesse voluto raccontare La Dolce Vita di Fellini da un punto di vista diametralmente opposto rispetto a quello originale. In Ingrid sulla strada appare evidente il contributo determinante di Rondi alla stesura della sceneggiatura dell’opera di Fellini (non, come semplice collaboratore, come appare nei credits del film), al punto tale che è possibile leggere questo film come il ribaltamento (o il negativo), estremo, eccessivo, e bizzarro de La Dolce Vita. Lettura che appare ancor più pregnante se si prende in considerazione il monologo del principe Urbano sulla condizione di Roma, e che appare recitato per interposta persona ma sembra esprimere l’opinione di Brunello Rondi: “E’ vecchia, come questa città che è diventata una cloaca sempre più umida e fa perdere la voce, infatti, non parlo più… non parlo più con nessuno, non ho più amici; se mi scrivono delle lettere non rispondo, non rispondo nemmeno più al telefono. Ci sono più fantasmi che uomini in questa città. Si certo, Roma è piena di luce, ma anche un cimitero di notte lo è, ed è pieno di strane fiammelle. Ecco, la donna, forse… soltanto la donna potrebbe essere l’unica cosa viva, ma è così difficile trovarne una. È una città piena di niente…”.
Il melodramma erotico impostato da Brunello Rondi, è volto al racconto di un mondo della prostituzione reso mediante la “volgarità” popolare e una vitalità sanguigna, intrinseche in un ritratto a dir poco spiazzante che tende all’elogio della puttana, interpretando al meglio il pensiero espresso da un altro regista del tempo, Aldo Lado, il quale afferma: “E lasciate in pace le ragazze che si offrono nelle strade per alleviare le solitudini di una società sempre più disperata e alla deriva. Sono lì da secoli, per fortuna, e dovremmo riconoscere quel ruolo sociale che a loro compete. Sono il tappo che frena le diserzioni degli eserciti dal tempo delle legionie e che impedisce che le pulsioni umane troppo represse, esplodendo, diano magari l’avvio a pericolose derive…”. Il registro grottesco con cui è raccontato il mondo del meretricio si contrappone alla violenza becera e feroce che contraddistingue la banda di Renato: il parallelismo, volutamente stridente tra i due mondi, serve al regista per dare l’immagine di una città e di un’epoca che si affaccia piena di contraddizioni, rabbia, e paure verso il secondo lustro degli anni ’70. La violenza di Renato e del suo gruppo, immersa in un nazifascismo pacchiano e ridicolo, percorsa da un’assurdità di maniera e imprigionata in un nichilismo giustificatorio, anticipa di qualche anno sia il delitto del Circeo che la nascita della banda della Magliana, al punto che la ferocia e la brutalità mista a un’indole da cabarettista (vedere la scena dell’ “operazione” ai danni della spia) di Renato sembrano tratteggiare il ritratto di Maurizio Abbatino, il primo “boss orizzontale” della criminalità romana che unirà in un unica banda la Magliana, Acilia e Testaccio. Inoltre, la figura di Renato e la scena della tortura del traditore (interpretato da Luciano Rossi), sono l’embrione della violenza pasoliniana di Salò e le 120 giornate di Sodoma, come ben afferma Roberto Curti: La sequenza di tortura di Ingrid sulla strada è un indiscutibile precursoe dell’ultimo girone di Salò, anticipandone due delle immagini più famose e terribili: Bonacelli che costringe una ragazza a mangiare le proprie feci e una delle torture finali con il taglio della lingua di uno dei ragazzi. Del resto, il filo rosso Citti-Pasolini è troppo evidente e invitante per essere taciuto (…) di fatto, Ingrid sulla strada consente di leggere il terribile rullo finale delle torture anche in un’ottica meno metaforica e maggiormente legata all’universo di borgata raccontato sin dai tempi di Ragazzi di vita. (Sex and violence, di Roberto Curti e Tommaso La Selva, pag. 308).
La finlandese Ingrid (Janet Agren), violentata dal padre ubriaco, parte per Roma, intenzionata a battervi i marciapiedi. Nella capitale, si lega di inseparabile amicizia con la collega Claudia (Francesca Romana Coluzzi), amante di Renato (Franco Citti), un sadico teppista, capo di una banda di malviventi. Dopo diverse vicende, tra cui la partecipazione ad un rito erotico-funereo tra nobili decadenti e diplomatici viziosi, le due donne convivono per qualche tempo con un pittore, ed infine scoprono, in alcune grotte il magazzino di refurtiva e di armi della banda di Renato. Irritato dal contegno di Ingrid, che ha osato metterglisi contro, costui la violenta e lascia che i suoi accoliti facciano altrettanto. Morta inutilmente Claudia, per difendere l’amica, la finlandese trova la morte lasciandosi travolgere da una cascata di pietre smosse da una ruspa.
Ciò che emerge maggiormente all’interno del film sono le analogie e le letture opposte degli eventi tra Ingrid sulla strada e La Dolce Vita. Ingrid proviene dalla Finlanda, fugge dalla violenza e sceglie volutamente di recarsi a Roma per fare la prostituta, quasi come a cercare la catarsi nell’autodistruzione. Ingrid è l’esatto opposto di Silvya (Anita Ekberg), l’attrice svedese che giunge dagli Sati Uniti per cercare gloria a Roma: Ingrid arriva in treno, nell’anonimato più totale, sola con il suo corpo, mentre Silvya arriva in aereo, accolta come una regina all’aeroporto e dopo un bagno solitario nella fontana di Trevi sparisce come inghiottita dalla città. Appena giunte a Roma Ingrid e Silvya si recano in Vaticano: mentre l’attrice viene invitata e accompagnata a salire sulla balconata della cupola di S. Pietro, Ingrid può solo guardare la Basilica da lontano come uno dei tanti turisti che affollano Via della Conciliazione. Le prime parole che aprono La Dolce Vita sono: “Leontine, che cos’è…guarda! Gesù”, riferite alla statua di Cristo che attraversa il cielo appesa all’elicottero, mentre le prime parole di Ingrid sulla strada sono: “Non le metterò mai più”, rivolte alle mutandine che Ingrid si è appena sfilata nel bagno del treno; parole programmatiche, che traducono, sin dall’incipit, la volontà di un racconto “dal basso” (non a caso nel film la m.d.p. non si alza quasi mai da terra, e le scene si svolgono sotto ponti, in sotterranei, in cantieri nascosti…) in netta contrapposizione al racconto “dall’alto” de La Dolce Vita. Appare quindi evidente che gli spazi occupati dalla prostitute (e delimitati dai “papponi”) sotto il raccordo anulare, altro non sono che l’estremizzazione “dal basso” dei tavolini di Via Veneto, così come Ingrid e Claudia che si recano a dormire dal pittore per necessità, sono la perfetta antitesi di Maddalena e Marcello che si autoinvitano a casa della puttana per sconfiggere la noia.
Il festino necrofilo, organizzato dal principe Urbano (che già nel nome ha il riferimento alla città), per soddisfare le voglie di una moglie atrofizzata nel proprio ruolo di concubina e bella presenza, e quelle di voyeurismo degli aristocratici raccolti nella messa in scena di una seduta spiritica, fa il paio con il festino dei nobili “decaduti” de La Dolce Vita, i quali non a caso una volta recatesi nella villa in fondo al parco alla ricerca di fantasmi, si imbattono in un’altra “ridicola” seduta spiritica. Renato e la sua banda di motociclisti di Ingrid sulla strada, altro non sono che l’estremizzazione volgare e rozza di Marcello e dei suoi paparazzi, mentre lo stupro collettivo subito da Ingrid nel pre-finale del film, con tanto di ripresa snuff per poi rivendere il filmino altro non è che la trasfigurazione “pornografica” del festino finale de La Dolce Vita: a conferma di ciò c’è anche l’evidente richiamo figurativo di Ingrid obbligata a cavalcare uno degli uomini della banda messo a quattro zampe, che richiama l’immagine di Marcello “a cavallo”, della bionda svampita, nel villino sulla spiaggia. Quasi una citazione “liberatoria”, con cui Brunello Rondi non solo dichiara il suo punto di vista sul film precedente e su Roma, ma che anticipa il finale pessimista e distruttivo, in cui Ingrid, come una moderna Maddalena, si auto-lapida e si lascia morire sotto il peso delle pietre cadute da un cantiere. Se il film di Rondi si chiude con la morte nella terra e sul primo piano insanguinato del volto di Ingrid, senza lasciare alcuna speranza, quello di Fellini si chiude con il primo piano della ragazzina sulla spiaggia, che nonostante non riesca a comunicare con Marcello, sembra presagire, comunque, una speranza per il futuro.
Oltre il parallelismo tra i due film, l’intento di Brunello Rondi, con Ingrid sulla strada è quello di affrontare il tema dell’universalità della violenza che lega tanto la Finlandia quanto Roma. Lo stupro, subito dal padre, di cui Ingrid è vittima, è la causa scatenante di una fuga dalla realtà in cui la donna vuole riaffermare (come tutte le eroine emancipate e “perdenti” del cinema di Rondi) la propria libertà. Se all’inizio del film, questo sembra ancora possibile, visto che è Ingrid a imporre le sue regole ai clienti: “Resterò qui solo venti minuti; non mi darai del tu; se qualcosa non va… grido”, nel finale, è Renato a chiederle, prima di seviziarla: “Ma perchè sei ventua in Italia?”, mentre il montaggio alternato mostra il sovrapporsi tra lo stupro familiare e quello collettivo di cui ella è vittima. Brunello Rondi, sembra essere giunto, nel suo percorso registico, al punto di non ritorno, in cui intuisce che la società è ormai prigioniera di se stessa, al punto che il sesso non è più un grimaldello anticonformista per scardinare l’ipocrisia borghese, ma è diventato anch’esso merce in una dinamica di import-export che ha solo più prerogative economiche: se ad un certo punto, la merce non va più bene la si butta via o la si obbliga a distruggersi. Il dittico successivo, Prigione di donne e Velluto Nero constaterà con malinconia e disillusione, il collasso definitivo del sogno di una società solidale e libera.
di Fabrizio Fogliato
INGRID SULLA STRADA
TITOLO ORIGINALE: INGRID SULLA STRADA
GENERE: Drammatico
ANNO: 1973
PAESE: Francia, Italia
DURATA: 105 Min
REGIA: Brunello Rondi
SCENEGGIATURA: Brunello Rondi
FOTOGRAFIA: Stelvio Massi
MONTAGGIO: Marcello Malvestito
MUSICHE: Carlo Savina
PRODUZIONE: THOUSAND
ATTORI: Janet Agren, Franco Citti, Bruno Corazzari, Francesca Romana Coluzzi, Fred Robsham, Luciano Rossi, Marisa Traversi, Enrico Maria Salerno