Il primo gangster-movie della storia del cinema.

 

“E’ felice solo quando lavora. Walsh accetterebbe qualsiasi regia pur di trovarsi sul set” (J.P. Coursodon)

Raoul Walsh, come regista, si pone antiteticamente rispetto alla scuola dei suoi contemporanei Stroheim-Ingram. Niente magniloquenza, niente ricostruzioni sceniche, l’atmosfera generale e storica usata solo come sfondo ma un’attenzione puntigliosa e mordace sulla storia, sulla caratterizzazione dei personaggi e sull’azione. Il suo obiettivo è quello di velocizzare la narrazione di intrecciare il montaggio e di esasperare l’uso del parallelismo tra vicende per dare incisività alla pellicola in modo da coinvolgere il pubblico con intensità e stupore. Al centro del suo cinema due grandi temi che, in un modo o nell’altro, attraversano tutta la sua sterminata filmografia fino alla metà degli anni’60: la rivalità e l’amicizia virile. Temi che troveranno compimento nei western degli anni ‘40 e ’50 ma presenti sin dai suoi primi melodrammi cui fa parte il misconosciuto e sorprendente Regeneration (1915) frutto del suo praticantato alla scuola di David Wark Griffith. Personaggio scontroso e schivo, celebre più per i suoi eccessi che per il suo cinema, Raoul Walsh (“padre” di tanto cinema moderno – Peckinpah, Foley, Ferrara, Scorsese, Tarantino…) in realtà non è per niente dissimile dai protagonisti dei suoi film: amante dell’alcool e del gioco d’azzardo, ma anche abile cacciatore e discreto sportivo, al punto che spesso le lavorazioni delle sue opere si trasformano in vere e proprie avventure. Set pericolosi i suoi, in cui si può mettere a repentaglio la vita o trovarsi faccia a faccia con veri e propri malavitosi, con interpreti spinti fino al limite e abituati al rischio e all’imprevisto. Regeneration non fa eccezione, visto che sul set del film si trovano a “recitare” insieme sia attori professionisti che veri abitanti dei bassifondi di New York. Questi ultimi sono chiamati ad interpretare se stessi mentre la macchina da presa di Walsh si insinua, quasi si mimetizza, nella Bowery dell’East Side, “frugando” con sapienza e pudore nelle vite, nelle case e nel futuro di questi disadattati.

Owen Conway (John McCann – bambino, Rockliffe Fellowes – adulto) rimane orfano e viene adottato, suo malgrado, da una coppia di vicini, due coniugi rancorosi e violenti. Forte della lezione di vita, impartita dalla forzata convivenza, decide di intraprendere la strada della criminalità e, dopo aver abbandonato la coppia, ancora bambino comincia a vivere per strada e a far valere le sue ragioni menando le mani fino a diventare, all’età di venticinque anni il capo di una banda di teppisti e piccoli rapinatori. Owen segue una vera e propria iniziazione al gangsterismo, un battesimo del crimine che lo sprofonda sempre più giù e che sembra precludergli ogni redenzione possibile. Un giorno, una giovane e annoiata borghese Marie Deering (Anna Q. Nillson) esprime ad un ospite abituale della sua famiglia, il procuratore Amis (Carl Harbaugh), la volontà di vedere il mondo dei gangster e questi la invita da Groning’s un locale da essi frequentato, dove la donna incontra Owen e scopre la sua vocazione umanitaria. La donna lascia la sua vita opulenta per dedicarsi ai poveri e comincia a prestare servizio presso la Settlement House un centro di assistenza ai bisognosi sito nella Bowery. La festa stagionale del centro si svolge sul ponte di un barcone ancorato sulle rive dell’Hudson dove Owen e Marie si reincontrano e la donna invita l’uomo a partecipare ai festeggiamenti. Un incidente fortuito, il lancio di un mozzicone di sigaretta tra le gomene, scatena l’incendio a bordo e Owen si prodiga con la donna e con tutti gli altri nel salvataggio delle persone presenti, soprattutto dei numerosi bambini…

A testimonianza del realismo della messa in scena e dell’imprevedibilità (ma anche della vivacità) dei set su cui è impegnato il regista ci sono due episodi riguardanti la sequenza dell’incendio del battello sull’Hudson. Una lancia della polizia in perlustrazione sul fiume scambia il set per un vero e proprio incendio, cosa che costa al regista un fermo di polizia di alcune ore; mentre, nella stessa sequenza, in fase di montaggio, il regista si trova a dover compiere dei tagli imprevisti: buttandosi in mare, infatti, molte delle donne presenti sul battello avevano messo a nudo le loro intimità al punto che le riprese effettuate non avrebbero di certo superato qualsivoglia commissione di censura. Abilmente Walsh, che non vuole rinunciare all’impatto spettacolare, rigira la sequenza e fa indossare a tutte le donne pesanti capi di biancheria intima, e, sull’episodio, nella sua autobiografia dichiara: “Una volta le donne le spogliavo…ora mi tocca rivestirle…”. L’incendio sul barcone, non a caso provocato da Skinny il quale, più avanti nel film diverrà vera e propria incarnazione del Male, dà la possibilità al regista di costruire una sequenza adrenalinica di rara efficacia emotiva, con largo uso di un montaggio quasi subliminale (per mostrare il fuoco in piani virati al rosso) e una serie di azioni dinamiche (il ballo, il girotondo….) che acuiscono la vorticosità della messa in scena anche grazie alla frammentazione delle inquadrature che, nell’alternare campi medi e piani ravvicinati, organizzano la suspance prima e restituiscono tutta la paura e la concitazione del momento poi, durante la fuga e l’abbandono del barcone.

Dal punto di vista registico Regeneration è figlio dell’esperienza griffithiana del regista, il quale collabora come assistente alla regia sul set di The Life of General Villa (1914) ed è interprete come attore di John Wilkes Booth l’assassino di Abraham Lincoln in The Birth of Nation (1915). Nel film di Raoul Walsh è determinate un aspetto, in particolare, dell’opera di Griffith, quello del film inteso come struttura geometrica, qui costituito da due rette convergenti: quella del Bene e quella del Male. Una visione dualistica dell’esistenza che abbraccia l’amicizia virile tra Owen e Skinny fino al momento in cui questa non viene infranta dall’entrata in scena dell’angelo salvatore incarnato dall’eterea Mamie Rose. Dualismo della messa in scena che entra prepotentemente (secondo la lezione di Griffith) anche nella costruzione di ogni singolo piano all’interno del quale è ravvisabile persino una forma di “montaggio interno” con elementi antitetici o complementari volti a mostrare lo scontro tra rette convergenti. Esemplare a tal proposito è la prima inquadratura del film: quella con il piccolo Owen in balia del proprio destino al momento della morte della madre, mentre sullo sfondo si muove un gattino bianco già epitome della purezza dell’uomo che verrà in seguito contagiato dal Male. Owen è dunque la variabile indipendente all’interno del film, un bambino che sin dall’infanzia (la sua “purezza” la conoscerà solo dopo) è condannato a vedere il Male e ad assorbirlo come forma educativa. Non si spiega altrimenti la prima parte di Regeneration costituita da una serie di piani volti a mostrare la “legge della strada e della violenza” come unica via possibile per stare al mondo: l’odio tra i coniugi adottivi, l’alcoolismo e le sue conseguenze, la violenza domestica, la prevaricazione del più forte sul più debole e indifeso, il furto, l’inganno, il leaderismo negativo. Tutti elementi che vengono confutati dalla figura femminile che entra nella vita di Owen e che, con l’amore e la dolcezza del servizio al prossimo e la solidarietà, la percuote come un maglio sconvolgendo certezze ormai date per acquisite una volta diventato capo-banda.

Ma Walsh gioca astutamente, sul dualismo, anche con gli ambienti e, all’inizio del film, sembra porre il piccolo Owen di fronte ad una sorta di sliding-doors dove lui però non può scegliere, come dimostra il fatto che sullo stesso pianerottolo (sequenza resa magistralmente attraverso l’uso del montaggio contiguo) coesistano il suo presente e il suo futuro, entrambi sospesi tra la morte della madre e l’adozione forzosa dei coniugi dirimpettai. Dualismo che ritorna, più avanti nel film, sottoforma di frammento mnemonico, quando Owen viene invitato da Marie Deering a recuperare il figlio dei Flaherty ed egli rivive la stessa situazione della sua infanzia: figlio indifeso in balia della violenza degli adulti. Non caso, è da questo momento in poi che il giovane intraprende il cammino di ri-generazione, mentre la didascalia descrive così il suo ingresso nella Settlement House: “Un nuovo mondo dove Owen scopre istruzione, ispirazione e … amore”. Emblematico è anche il primo rifugio di Owen una volta fuggito da casa: egli si sdraia sulla caditoia sotto la vetrina dei dolci che guarda con desiderio e sofferenza e, mentre questa rimane sopra la sua testa, sotto di lui scorrono le fogne. Raoul Walsh non lesina dunque passaggi e messe in scena del dualismo religioso, concreto ed esistenziale cui va incontro l’ignaro Owen Conway, vittima inconsapevole di una società che lo forma secondo le sue convenzioni più brutali impedendogli di ambire (perché non lo conosce) al compimento del Bene.

Che la società (nazione) abbia un ruolo determinante nella formazione del giovane è ben raccontato dalla sequenza con Owen diciassettenne, il quale intervenuto per mettere fine ai soprusi subiti da un giovane gobbo, si batte furiosamente con il molestatore mentre attorno a lui si crea un accrocchio di uomini intenti a guardare e a tifare per l’uno o per l’altro: volti grotteschi e mostruosi che Walsh condanna con fulminanti primi piani, mentre con il suo agire mette in evidenza quel Bene che dimora nascosto e sconosciuto nell’animo di Owen. Sarà Mamie Rose – Marie Deering a far intravedere a Owen la fine del tunnel: un altro personaggio emblematico, nella visione di Walsh, una borghese che rinuncia agli agi e al lusso della vita comoda per dedicarsi disinteressatamente alla “salvezza” degli ultimi. Lo scontro tra le rette del Bene e del Male dunque, prende vita e si nutre da un lato delle ambizioni delinquenziali di Owen e dall’altro del suo essere visto dalla donna come un “puro” temporaneamente contagiato dal Male. Tutta l’attività della Settlement House, infatti, è finalizzata al “curare” i giovani sbandati della Bowery newyorkese attraverso “medicine” come l’istruzione, il senso di giustizia, l’onestà della beneficenza, l’amore verso il prossimo. Owen viene travolto dalla furia “distruttrice” del Bene propagata da Mamie Rose, vittima sacrificale (e inconsapevole) della redenzione dell’uomo e necessaria alla remissione di suoi peccati. Per mettere in scena questo scontro dualistico Raoul Walsh ricorre ancora una volta alla lezione del maestro del cinema narrativo, facendo ampio uso di primi piani espressivi (memorabili quello iniziale sul volto del piccolo Owen e quello finale sul primo sul volto straziato di Mamie Rose insidiata da Skinny) e del montaggio alternato e parallelo che progressivamente porta le due vicende a convergere nel finale in cui avviene la rigenerazione dell’uomo e quindi della nazione stessa.

Il tema della redenzione, anche negli aspetti biblici e cristologici, è centrale nel film di Walsh visto che dal momento in cui Owen “sceglie” il Male viene immerso in ambienti scuri, chiusi ombrosi, quasi a voler mostrare come sull’uomo sia calata una cappa peccaminosa che gli impedisce di vedere la luce. Il film è, infatti, percorso da tutta una serie di elementi che rimandano al sacro e all’ultraterreno, talvolta messi in scena con efficaci effetti ottici e/o cinematografici (dissolvenze, sovrapposizioni, quadri nel quadro) che fungono da guida, da via maestra per l’uomo sulla strada della ri-generazione, di cui la prima è la scritta inesistente “Dio è amore” che l’uomo “vede” al momento del suo primo ingresso nella Settlement House. L’episodio dell’accoltellamento del poliziotto da parte di Skinny permette al regista di mettere al centro dell’ultima parte del film tanto l’amicizia virile (con lo scambio di favori) quanto la rivalità con l’invidia e il rancore di Skinny verso Owen). La visione di Walsh, al contempo, non è né conciliante né manichea e fa si che da questo momento in poi il dualismo Bene/Male orbiti attorno alla figura di Marie Deering, fino al tagico epilogo che, nella sua drammaticità, contiene sia il peccato che la redenzione. Epilogo sacrificale che attraverso l’immolarsi dell’agnello porta alla salvezza definitiva di Owen, uomo rigenerato mentre il Male incarnato da Skinny dall’alto del cielo (l’uomo tenta la fuga appeso tra i palazzi) precipita nell’abisso terreno (con l’uomo che si schianta al suolo e muore). Ad Owen, poco prima, la donna morente intima di non vendicarsi e lo fa con una citazione evangelica: “A me la vendetta..dice il Signore”, mentre nel momento in cui Owen sta per uccidere Skinny, il volto di Mamie Rose gli appare e lo fa desistere dai suoi intenti vendicativi. Skinny però, quasi per volontà divina non può fuggire dal palazzo in cui è intrappolato, sotto e sul tetto ci sono i poliziotti e nella stanza in cui è chiuso continuano ad entrare topi: ecco che l’uomo è costretto ad uscire sul balcone e a cercare un’impossibile salvezza (perché animata dalla giustizia divina richiesta da Owen – come mostra il montaggio alternato). Il film si chiude, quasi come una preghiera, con l’inquadratura di Owen che depone i fiori sulla tomba di Marie “Mamie Rose” Deering e con la didascalia che racchiude tutto il senso del film e che recita: “La mia ragazza giace qui, ma la sua anima, l’anima più nobile e pura che abbia mai conosciuto, vive in me. E’ stata lei, la mia piccola Marie che mi ha insegnato che dentro di me c’è un’anima e un cuore pieno di amore. Lei ha fatto della mia vita qualcosa di diverso e non potrà più essere la stessa”.

di Fabrizio Fogliato

 

 

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