I lunghi binari dell’erotismo, ovvero la follia e il delirio di una società in divenire
“La pornografia per me non esiste” (Alain Robbe-Grillet), affermazione che spazza via ogni concessione erotica dal film (come invece, superficialmente, suggerisce il titolo italiano A pelle nuda), per posizionarlo in una dimensione coerente con l’epoca in cui è stato realizzato. Trans-Europ-Express è un film-laboratorio, in cui l’antipsicologismo con cui sono non-delineati i personaggi va di pari passo (parallelamente, come i binari del treno appunto) con elementi sadiani necessari all’autore per incunearsi nell’immaginario di una società che, come il treno del titolo, corre verso una liberazione sessuale (e non), fittizia e utopica. Non è casuale, quindi, che le tre parole componenti il nome del treno, ritornino nel film sulla copertina di un libro raffigurante un treno che sta per investire una donna legata sui binari (Transes), su una rivista di bondage (Europe) e sul settimanale L’Express sulla cui copertina il titolo rimanda a “l’uomo che morì 4 volte” (Express, e il chiaro riferimento al protagonista plurimo della vicenda del film). Quella costruita dall’inventore del Nouveau Roman è un’architettura ludica in cui il cinema è rappresentato come un gioco la cui natura contempla un creazione ed una scrittura fatte di continue ipotesi, cancellazioni e correzioni. La scelta, coerente con questa idea, che Robbe-Grillet persegue nel film attraverso la messa in scena di un erotismo “plastico e statico”, coincide con la necessità di desensualizzare le immagini e di sterilizzare l’eccitazione dello spettatore trasformando le donne (protagoniste del film) in manichini.
La dimensione statuaria con cui è rappresentata la femmina in T.E.E. rimanda continuamente al clichè dell’immagine patinata delle riviste, come dimostrano le inquadrature che ritraggono Eva e le prostitute in modo antinaturalistico, in pose chiaramente artificiali; o come, nel finale, con la modella nuda avvolta nelle catene, rappresentata come un meccanismo privo di volontà individuale, congelato in una posa plastica ed esposto allo sguardo totalizzante e invasivo del pubblico. Robbe-Grillet, accentua questa componente iconica, appiattendo l’immagine, eliminando le ombre e utilizzando fondali neutri (prevalentemente bianchi) che eliminano la tridimensionalità dell’inquadratura per “cosificare” il corpo femminile e ridurlo ad immagine bi-dimensionale. Scelta stilistica che si inserisce pienamente nell’idea di riprodurre – tanto attraverso i libri quanto i film – l’immaginario di una società mercificata e (in anticipo sui tempi) già schiava delle immagini: “E’ opinione diffusa che per uscire dal ghetto dell’intellettualismo io faccia ricorso all’erotismo, alla droga, alla violenza ecc. E’ falso. Innanzitutto questi temi sono stati sempre presenti nei miei libri e in ogni mio film. Inoltre, mi appassionano perché ritengo che siano la sostanza stessa del nostro immaginario. Di cosa sono fatti France-Soir e James Bond? Di stupri, morte, traffici illeciti….” (Alain Robbe-Grillet).
L’immaginario è fatto di cose, oggetti, immagini appunto, e in T.E.E. i veri protagonisti sono gli oggetti, e si può dire che con quest’opera inizi per il regista la delineazione di quella che si può chiamare una “fenomenologia degli oggetti” (che proseguirà lungo tutta la sua produzione filmica). Questi sono intesi, in maniera contraddittoria, sia come elementi che danno sicurezza sia come elementi ingannatori: emblematico l’uso della valigia nel film, la quale, per Elias, è sia strumento di “lavoro” che elemento dell’inganno e rivelatore per la polizia. Allo stesso modo il finestrino del treno, per il regista e i suoi compagni di viaggio, diventa schermo attraverso cui osservare lo svolgersi della vicenda, ipotizzare lo scambio del traffico di droga con quello dei diamanti, o addirittura elemento onirico della messa in scena. Corde e catene, elementi di costrizione, e oggetti S&M, assolvono pienamente la loro funzione sia come strumenti di piacere (l’amplesso con Eva) sia come strumenti di morte (lo strangolamento di Eva, e il finale con la modella “schiava” che presagisce la morte di Elias).
Ogni oggetto nel film, dunque, è un duplicato meccanico di chi lo maneggia, così come, anche i personaggi duplicano continuamente se stessi definendo quello che a tutti gli effetti non è un film (secondo definizione) bensì un esperimento formale fatto di rumori e immagini (emblematico il finale straniante con la performance della “schiava” accompagnata da una sintesi di tutti i rumori del film), immessi in una costruzione labirintica (che sovverte continuamente se stessa) in cui solo nel finale appare chiaro l’assunto della vicenda ma dove, anche questa flebile certezza dello spettatore, viene nuovamente smentita dall’ultimo fotogramma: lo sguardo in macchina, complice e divertito, di Jean-Louis Trintignant e Marie-France Pisier abbracciati alla stazione di Anversa. T.E.E. si sviluppa in un continuum fatto di strutturazione e de-strutturazione della narrazione (il film in divenire) ma anche attraverso un “finto” processo didascalico in cui (solo apparentemente) viene spiegato ciò che si vede. La geometria della costruzione narrativa segue la forma centripeta della spirale in cui si susseguono, senza soluzione di continuità clichè e stereotipi, convenzioni e manierismi, ma anche le ipotesi subito smentite, i “buchi” della memoria e l’ “assoluto” del “flusso di coscienza” non del regista bensì del narratore (inteso in senso lato), cioè di colui che crea, che riempie la pagina bianca (al cinema, lo schermo).
“Chiamo archetipi gli oggetti immaginari il cui funzionamento è stato codificato dalla società. In Trans-Europe-Express, per esempio, si riconoscono: l’uomo che ha bisogno di esercitare la violenza, la donna schiava e traditrice, il viaggio come iniziazione, la droga liberatrice, la sessualità come trappola, ecc.. Se il film è, per me, un film riuscito, benché abbia avuto molto successo (il che è malvisto nel VI arrondissement), e perché questi archetipi vi sono continuamente designati, messi in discussione e sovvertiti; ma essi vengono subito in una nuova scena, ristabiliti nel loro funzionamento; poi, dal momento in cui il pubblico “marcia” di nuovo (ciò sisente dal silenzio improvviso della sala), sono ancora una volta destituiti o rivoltati come dei guanti” (Alain Robbe-Grillet). Per mettere in scena questo esperimento cinematografico, oltre a puntare l’attenzione sulla presenza fenomenica degli oggetti, il regista utilizza il dialogo in maniera antifrastica rispetto alla narrazione. Scelta che lo porta continuamente a mettere in discussione tanto il suo ruolo di “creatore di immagini” quanto l’essenza stessa della produzione cinematografica. In base a questo principio, nel bistrot – quando Elias chiede a Eva se conosce il cameriere – all’ipotesi della ragazza sul fatto che possa essere un poliziotto Elias replica: “No, è un attore cinematografico travestito da titolare di bistrot”. Anche all’inizio del film, quando Elias compra la valigia il dialogo messo in bocca al personaggio è finalizzato ad un sorprendente svelamento: “Buongiorno, vorrei una valigia, tipo di quella da contrabbandiere, con il doppio fondo per nascondere la droga…”.
Anche il montaggio, in T.E.E. assume una funzione di transfert tra l’autore e il personaggio, come dimostrano sia gli stacchi veloci sui primi piani del regista, della sua segretaria, del produttore, della donna in treno, del proprietario dell’hotel Miro, che inframmezzano il momento in cui Elias chiuso nella stanza d’albergo armeggia con la sua valigia, sia i successivi cinque stacchi (corrispondenti a cinque ipotesi narrative diverse) con cui il regista fa scomparire il pacco da sotto il braccio di Elias. Il montaggio è anche l’elemento che mette in relazione i dettagli del corpo di Eva con lo scorrere dei binari del treno, così come, reiteratamente, lungo tutta la durata di T.E.E. si intrecciano immagini (reali e oniriche) di treni in velocità con immagini di corpi legati e/o incatenati. Nella costruzione del suo film, quindi, Robbe-Grillet utilizza il montaggio come elemento di destrutturazione temporale visto che egli demolisce continuamente il racconto filmico tradizionale sostituendolo con una progressività narrativa atemporale in cui il tempo storico e quello cronologico appaiono avvitati su se stessi con il risultato di definire un tempo “reale” che altro non è che semplice addizione di attimi presenti: la durata della pellicola intesa solo come somma di fotogrammi. Per Alain Robbe-Grillet la pellicola è materiale chimico su cui impressionare immagini percorse da un’intertestualità latente e persistente, in cui il creatore-regista non assume più il ruolo di ordinatore degli eventi e di produttore del senso, bensì quello di moltiplicatore di livelli di senso e di significato mai pienamente delineati, sempre parziali e ipotetici. Non è casuale quindi che il film sin dal suo prologo assuma connotati metalinguistici attraverso la dimensione del “film da fare” e del “film in divenire”, ma è sorprendente (e coincide pienamente con il concetto di autonomia della scrittura) che, con il suo progredire, la storia del film diventi pienamente autosufficiente, Elias assuma una propria fisionomia indipendente dalle scelte del regista e tutti gli altri personaggi tentino di imporre all’autore le proprie decisioni e i propri comportamenti: il regista e suoi collaboratori, dal loro scompartimento, osservano l’accadere sbigottiti e preoccupati. E’ del tutto evidente che il film debba quindi, chiudersi su un ulteriore scarto narrativo, quello che fa “uscire” Trintignant e la Pisier dallo schermo per trasportarli nella realtà: il campo e il controcampo non mostrano il regista che guarda i suoi personaggi ma due esseri umani qualunque che ipoteticamente potrebbero diventare i personaggi di un film, perché come dice Robbe-Grillet: “Il film ha luogo nella mia testa, quindi anche nella vostra. Tutte queste immagini si distruggono bruscamente, tornano indietro, seguono la struttura dell’immaginazione”.
di Fabrizio Fogliato
Trans-Europ-Express
Paese: Francia, Belgio
Anno: 1966
Durata: 105′
Titolo italiano: Trans-Europ-Express – A pelle nuda
Regia, soggetto, sceneggiatura: Alain Robbe-Grillet
Fotografia: Willy Kurant
Montaggio: Bob Wade
Produzione: Como Film Production, Ministero dell’educazione (Francia)
Interpreti: Jean-Louis Trintignant (Elias/se stesso), Marie-France Pisier (Eva), Nadine Verdier (Cameriera), Christian Barbier (Lorentz), Charles Millot (Franck), Daniel Emilfork (Il poliziotto), Henri Lambert (L’ispettore)