L’infernale paradiso di …Kristen

 

Paul Schrader ha più volte dichiarato di aver fatto i conti con il suo passato e sublimato il rapporto con il padre anagrafico con il film Hardcore (1979). A ben vedere però, il film in questione, non è solo un viaggio autobiografico alla ricerca della propria identità (negata dalla famiglia), ma è anche un ritratto caustico, bruciante e irriverente di un microcosmo religioso (che in America conta per lo 0,1% della popolazione ma che ha dato al paese ben due presidenti: Martin Van Buren e Theodore Roosevelt), quello della declinazione calvinista della Chiesa Riformata d’Olanda. Il viaggio all’ “inferno” di Jake VanDorn, non è solo la discesa negli antri oscuri dell’essere umano di un padre alla ricerca disperata della figlia, ma è la traversata destinata a qualunque comunità che ponga alla base del suo Credo (religioso e non) la repressione aprioristica e la mancanza assoluta di spiegazioni comportamentali (come sarà, anni dopo, per quella di Das Weisse Band (Il nastro bianco (2009) di Michael Haneke). La stessa, traversata, vissuta sulla propria pelle dal regista fino al compimento dei 17 anni, momento in cui varca contemporaneamente la soglia della sala oscura e quella della libertà e del suo “mistero”.

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L’incipit in voce-off del film del 1990 The comfort of strangers (Cortesie per gli ospiti) racconta di un passato e di un padre, in cui non si può non vedere i tratti autobiografici alla luce anche del taglio del protagonista di Hardcore e delle sua “trasformazione caricaturale” californiana (l’uomo di cui si parla, sembra quello chiuso nel Motel del Cinema intento a ricevere aspiranti porno-attori in Hardcore): “Mio padre era un uomo imponente. Tutta la vita ha portato dei gran baffi neri. Quando ingrigivano li tingeva di nero con uno spazzolino di quelli che usano le donne per truccarsi gli occhi, per darsi il mascara. Avevano tutti paura di lui: mia madre, le mie quattro sorelle. Quando eravamo a tavola nessuno poteva parlare a mio padre se non veniva prima interpellato da lui. Ma adorava me. Io ero il suo preferito”. La scelta della caricatura per tratteggiare visivamente un uomo “fuori posto” come è Jake VanDorn in California, evidentemente coincide con la necessità, per l’autore, di raccontare una storia privata annegandola nei meandri più oscuri e inconfessabili della sua giovinezza, all’interno della quale la pornografia ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di “redenzione” auto-percorso dallo stesso Schrader. Il Jake VanDorn di Grand Rapids (Michigan) non è diverso dal Jake VanDorn esule a Los Angeles, San Diego, San Francisco: quello che cambia è il suo abito, il suo atteggiamento; così, almeno, crede lui, mentre invece è egli stesso a subire una trasmutazione irreversibile, al punto da chiudere il suo viaggio con questa battuta rivolta alla figlia ritrovata: “Adesso portami a casa tu”.

Jake VanDorn è prima di tutto un uomo; lo stesso Schrader sembra porre questa figura (interpretata in maniera superlativa da George C. Scott), quasi come una forma di monito nei confronti dello spettatore: non è possibile giudicare un uomo, senza tener conto della sua fragilità e del suo orgoglio; non esistono caratteri lineari, ma esistono comportamenti carichi di sfumature, imperfezioni ed errori. Non a caso, la scelta di Schrader, di mettere a confronto quest’uomo, calvinista intransigente e metodico, maniacale e pignolo sul lavoro – apparentemente freddo e distaccato dalla famiglia (in realtà non è così come dimostra il siparietto inscenato con il tacchino di fronte ai bambini) – con quanto di più lontano e inconoscibile (per lui) ci possa essere (cioè la Los Angeles “XXX” dei Mitchell Bros), rende Hardcore un film complesso e problematico. Il sesso, la sua manifestazione più brutale (cioè la pornografia), e il coinvolgimento emotivo diretto (visto che è la figlia Kristen a scegliere questo mondo) destabilizzano le convinzioni di un uomo capace di ragionare solo ed esclusivamente in base a dogmi religiosi. In Hardcore infatti, la pornografia non è solo elemento narrativo imprescindibile, ma è anche il termine di paragone attraverso cui, l’uomo di fede rimette in discussione se stesso. In quest’ottica, il film di Schrader è assimilabile, se non sovrapponibile, tanto ai primi film di Abel Ferrara (ma anche al successivo Bad Lieutenant, 1992), quanto alla pornografia problematica di Gerard Damiano: non a caso entrambi registi cattolici. Far convivere cattolicesimo e pornografia non è solo un’esibizione estrema di “pura teoria”, ma è la dimostrazione della consapevolezza (anche di Schrader), che l’uomo vive perennemente sul declivio peccato/redenzione (come ben rappresenta il finale di Hardcore con la “discesa” di San Francisco).

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L’esibizione del corpo e dell’atto sessuale, se inserito in un contesto narrativo e significante al fine di esprimere il “vero”, non è e non può essere in contrapposizione con il professarsi cristiani. Il peccato e la scelta, incarnati dall’uomo fin dal suo concepimento attraverso il “peccato originale” e il libero arbitrio implicano nella loro natura l’esplicitazione dell’unione dei corpi: il “paradiso terreno” della pornografia deve essere messo a confronto con il “paradiso ultra-terreno” della redenzione, per poter permettere all’uomo di compiere una scelta. Non si può lavorare sulla finzione e sulla simulazione quando in gioco c’è il concetto di “salvezza”. Schrader quindi riprende le coordinate sia di Ferrara che di Damiano, perchè il suo obiettivo è concentrato sul concetto di sguardo inteso come desiderio e quindi aderente a quello di peccato. In quest’ottica rientrano sia la scelta limite e definitiva di Kristen, sia la decisione di mettersi in “viaggio” di Jake VanDorn; entrambi sono alla ricerca di una propria identità negata da una religiosità intransigente incapace di contemplare le debolezze umane. Ecco dunque che l’uomo di fede è portato in Hardcore a trasformare se stesso: non solo per assumere su di sé i panni compiacenti l’universo Californiano, ma anche e soprattutto, per provare a essere diverso, senza aver paura della “diversità” (come prima) ma consapevole che fuori da Grand Rapids c’è un mondo altro con cui confrontarsi. Ritardare (o addirittura negare) qusto confronto può portare alla tragedia; inoltre, se non è l’uomo ad aprire certe porte oscure, sarà l’oscurità stessa ad inghiottirlo; come puntualmente accade a Jake VanDorn.

In Hardcore, non viene enucleato solo il micromondo di Jake e Kristen, ma viene anche messa in luce quella che potremmo definire la “filosofia” della pornografia. Il mondo dell’hard non è tratteggiato in modo assoluto, ma come ogni altra componente del film è sviscerato in maniera problematica: non ci sono solo i lustrini, le pailette, le montagne di denaro facile e la droga, come non ci sono solo il degrado, la perversione, l’infelicità e la desolazione. Sono tutti aspetti della stessa medaglia raccontati attraverso la descrizione di un “paradiso terreno” fatto tanto di stairway to love (nome di un locale visitato da Jake) quanto di discese “infernali” come quella che chiude il film. Ci sono set improvvisati in cui registi che si credono autori provenienti da UCLA, girano loop scalcinati mentre la carta da parati si stacca sullo sfondo (“Non ti preoccupare, tanto non si accorge nessuno, continua a girare”), produttori come Ramada, interessati a incamerare montagne di soldi attraverso bellezze “usa e getta”, che però necessitano di avere uomini al proprio fianco come Kurt in grado di dargli sempre ragione e di diventare il loro “right-man”; attricette, pseudo-prostitute come Nicki, che dividono la loro esistenza tra peep-show, loops, e camere di motel; locali S&M in cui le dominatrici si chiamano, Fede, Speranza e Carità; e infine uomini come Ratan privi di scrupoli e ragione, intenti a confezionare (forse) snuff-movies per uomini che possono pagare per accedere alla visione di “emozioni forti” (come le chiama Tod).

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Tutto questo sotto bosco delle luci rosse, si agita instancabilmente alla ricerca di un posto al sole tra i titoli di maggior successo e di un posto su schermi cinematografici di prima grandezza (come quelli di cui viene mostrato l’ingresso durante le peregrinazioni notturne di Jake VanDorn, e in uno dei quali si proietta Violation of Claudia di Billy Bagg, ovvero William Lustig). Ma il sotto bosco è destinato a rimanere tale, anche se è dentro ad esso che paradossalmente Kristen trova una nuova famiglia e delle persone che (come dichiara lei stessa) le hanno voluto bene. Ed è in questo aspetto, che risulta particolarmente interessante la descrizione di Schrader nel mondo dell’hard, perchè riconduce all’origine e alla normalità, persino alla banalità: anche il mondo più (stra)ordinario, perverso e disordinato, alla fine è fatto da uomini e donne che con le loro debolezze, le loro meschine ambizioni, il loro disperato bisogno di colmare il vuoto e la solitudine e la ricerca di un amore sincero, in fondo, altro non sono che esseri umani in balia del libero arbitrio. Non a caso l’atteggiamento di Paul Schrader verso questo mondo non è colpevolista, né assolutorio, ma ricolmo di pietas cristiana, comprensione e una sincera quanto necessaria compassione.

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Il contrappunto che segue la discesa agli inferi di Jake VanDorn, è che lo stesso percorso viene fatto, in precedenza, dalla figlia Kristen, per la quale rappresenta, invece e paradossalmente, un’ ascesa verso un “paradiso” possibile. Già nel nome “cristologico” la ragazza porta su di sé lo stigma del cammino di espiazione, e pertanto appare del tutto naturale il processo progressivo che la conduce allo zenit della sua esperienza: attraversare l’inferno per (ri)trovare il paradiso. Hardcore, infatti, altro non è che la metafora di un mondo alla rovescia in cui ogni opposto confligge e, successivamente, rinasce; basta pensare ai duplicati presenti nel film. Jake VanDorn è l’opposto di Andy Mast, Kristen è a Grand Rapids l’opposto della Nicki di Los Angeles, Ramada è l’opposto di Ratan, e Jim Sloan è l’opposto di Tod. Tutti questi opposti replicano se stessi nella definizione di un ritratto sociale in cui ognuno rappresenta l’altro (non può esistere l’uno se non c’è anche l’altro) e in cui la scissione manichea tra Bene e Male non è possibile, perchè ciò che interessa a Schrader è rappresentare l’ordinario: nella realtà il Bene convive con il Male, il peccato con la redenzione, la vita con la morte e il sesso con l’amore e viceversa per ognuno.

(continua; tra una settimana su questo blog – stay tuned)

 di Fabrizio Fogliato

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