La gabbia della famiglia e le belve feroci che si sbranano
Le riprese del film, co-prodotto con la tedesca Eichberg-Film iniziano nel Gennaio del 1954. Presumibilmente la fase di post-produzione si protrae fino alla tarda primavera, visto che in quel periodo – a fine Aprile – viene stampata una copia del film con il titolo I due amori, mentre per i primi di Maggio è annunciata l’uscita del fotoromanzo che porta lo stesso titolo. Il 5 Luglio, la Itala Film comunica alla SIAE il cambiamento del titolo in L’amore si difende che diventa il definitivo Nel gorgo del peccato il 23 Luglio, quando ottiene il visto censura con il divieto ai minori di 16 anni. Condizione per l’uscita nelle sale, però, è che vengano tagliate alcune scene ritenute troppo erotiche. Il film viene proiettato la prima volta in pubblico il 30 Ottobre 1954.
Nonostante l’apporto dei tagli, la produzione fa ricorso in appello per far togliere il divieto. Il 16 Dicembre la commissione mantiene il divieto assegnato al film ma chiede ulteriori tagli per mitigare ulteriormente la componente erotica. A Gennaio la produzione riceve le indicazioni della commissione ma il film, inspiegabilmente, resta fermo per altri mesi per poi vedere la luce della sala solo a fine Giugno 1955 a Firenze. Per ricoprire il ruolo della madre all’inizio viene chiamata Rina Morelli che nel film finito doppia l’attrice protagonista Elisa Cegani. Le riprese in esterni si svolgono tra Roma e San Felice al Circeo. Il budget complessivo è di 95 milioni, l’incasso definitivo arriva a malapena ai 50 milioni.
Una lavorazione e una distribuzione così travagliata trovano giustificazione, soprattutto in quello che è il tema più scottante (anche se il meno esplicito) del film: l’incesto. Il rapporto morboso che lega madre e figlio, al limite dell’ossessione amorosa, trova testimonianza sin dal titolo originale del soggetto a firma Oreste Biancoli, I due amori, dove uno è quello tra Alberto e Germaine e l’atro quello tra Margherita Valli e lo stesso Alberto, suo figlio. I due amori tra cui è diviso Alberto sono perfettamente antitetici, ma paradossalmente, convenzionali: la madre è incarnazione della tradizione materna italiana, Germaine è la donna moderna, emancipata e, rigorosamente, straniera. Nel film però è la Madre (intesa come ruolo) a dominare la scena con la sua figura – che è sia corpo che agisce con l’istinto protettivo dell’animale sia spirito che permea l’esistenza – e con la sua presenza eterea a celeste, anche dopo la morte (così si spiegano le panoramiche sulle nuvole mentre si ascolta la sua voice-off raccontare la vicenda).
La madre di Nel gorgo del peccato è una figura esile e minuta che persegue una vita lineare con fatica e orgoglio, materna (al punto da riaccogliere in casa il figlio sbandato – a dieci anni dalla sua fuga – senza chiedere spiegazioni) e sacrificale nell’accettare, a malincuore, la presenza della donna di lui in casa sua. Poi, improvvisamente, l’istinto prevale, anzi, si allinea alla ragione, nel momento in cui è chiamata a difendere la sua creatura diventando un predatore feroce e spietato (mirabile il mutamento della maschera facciale della Cegani durante la sequenza) capace di uccidere, persino desiderosa di farlo. Nel momento della morte il suo stato fisico subisce un ulteriore cambiamento diventando anima e incarnando perfettamente il credo cattolico della vita dopo la morte e della presenza dei morti tra i vivi, dando vita ad una sorta di vero e proprio miracolo (il cambiamento finale di Germaine, la famiglia unita attorno alla tavola, il Male definitivamente espulso e quella chiosa: “E’ proprio bello, veramente bello… essere madre”).
Nel gorgo del peccato è un film d’atmosfera in cui tutto appare sospeso in una condizione ipnotica dell’esistenza. All’interno di questa situazione di stasi assumono grande rilevanza i singoli gesti, le espressioni del viso, i movimenti dei corpi e le inclinazioni vocali: elementi attraverso i quali il regista mostra il continuo mutare dei personaggi, delle loro emozioni e dei loro stati d’animo. Personaggi raccontati come predatori dai tratti animali – sottolineati nel viso e nel corpo – che seguono più l’istinto che la ragione. La borghesia raccontata da Cottafavi è animalesca, feroce, chiusa nella gabbia opprimente della casa e basa i suoi rapporti su comportamenti eccessivi fatti di passione (quasi) patologica e di risoluzione delle crisi o dei problemi attraverso l’uso primordiale della violenza. Persino l’avanguardistico commento musicale alla Bartok di Marcello Abbado (qui al suo primo e unico incontro con il cinema), fatto di un unico corpo musicale in cui prevalgono i rumori sensuali (del saxofono) e brutali (delle percussioni) tende a sottolineare la natura ferale di questo gruppo di famiglia in un interno.
Cottafavi dice la parola definitiva sul mondo borghese costruendo attorno ad Alberto (preda) una vera e propria caccia all’uomo da parte della madre, di Germaine e di Filippo (ognuno, ovviamente, ha motivi diversi). La pericolosa partita si gioca sul crinale pericoloso della parafilia e dell’isteria. Quello tra Germaine e Alberto è un rapporto sadomasochista in cui sulle parole prevalgono gli schiaffi e a cui fa sempre seguito l’amore. Quello tra Alberto e Margherita è un rapporto vagamente incestuoso in cui la madre appare disposta a tutto pur di tenere il figlio accanto a se, mentre quello tra Filippo e Germaine è un rapporto unidirezionale in cui Filippo non vede corrisposto il suo amore, e non si da pace e, ossessionato dalla gelosia, arriva ad uccidere pur di ottenere ciò che vuole. Infine, quello tra Filippo e Alberto è un rapporto di interesse (reciproco): al primo interessa la donna del secondo, al secondo i soldi del primo.
La rappresentazione animale e predatoria del mondo borghese trova conferma nel richiami che nel film vengono fatti più volte a parole come branco, animale, verme, istinto, topi. Germaine ad Alberto: “Non bisognerebbe mai innamorarsi di un animale, quando questi è un uomo, perché prima o poi l’uomo salta fuori”; Margherita a Germaine: “Sbagli, perché ci sono io e una madre è capace di tutto, ricordatelo! Per te contano solo gli schiaffi e io te la ricoprirei tanto volentieri la faccia di schiaffi”; Germaine ad Alberto nella hall del Metropolitan: “Fai conto che siamo a casa… schiaffi e scandali tutto sommato mi piacciono”; la voice-off della madre nel finale mentre si reca da Filippo: “E’ spietata una madre quando deve difendere la sua creatura”. Personaggi dunque dominati dall’istinto in cui la ragione è offuscata dal bruciare della passione e che, inevitabilmente non possono che sbranarsi l’uno con l’altro – come ben dimostrano gli ultimi venti minuti di film – quelli che presentano una sequenza costruita con una meccanica perfetta e precisa in cui i gesti suppliscono alle parole e in cui l’istinto animale esplode in tutta la sua virulenza. È il segmento del film in cui Alberto torna a casa dopo aver scoperto l’inganno di Filippo. Tutto si svolge nell’androne del palazzo: Alberto entra dalla porta, tempesta di pugni Filippo, lo insegue su per le scale e continua a picchiarlo anche quando questi rotola giù, poi si allontana, passa vicino a Germaine la ignora ed esce. Tutta la sequenza è scandita solo dalle percussioni di Abbado che conferiscono alla messa in scena un tono tribale e primitivo e le uniche parole proferite sono quelle di Alberto a Germaine: “Sei falsa e sporca fino alle ossa”.
È riduttivo classificare Nel gorgo del peccato come un melodramma perché si tratta di un film moderno decisamente ardito e in anticipo sui tempi ma profetico nel fotografare sia il mondo borghese all’inizio della sua crisi irreversibile, sia la figura dell’italiano-medio (qui incarnato da Filippo) alle soglie del boom economico. Un uomo che agisce sempre sul limite tra lecito e illecito, che trova il modo per fare soldi onestamente (come dice lui) ma che dietro alla facciata del garage nasconde già un traffico di cocaina. Filippo è dunque il prototipo dell’imprenditore-speculatore che da lì a pochi anni troverà nell’impennata dei consumi il terreno fertile per prosperare (non a caso nel film commercia in automobili uno dei futuri simboli del boom). Cottafavi condanna apertamente e senza giustificazioni di sorta il comportamento immorale di Filippo: al punto che appare, come ulteriormente significativo, il fatto che egli venga ucciso e che ciò avvenga per mano di una madre tradizionale italiana.
di Fabrizio Fogliato