Il suicidio d’autore si compie: il finale del film tra Pier Paolo Pasolini e Joe D’Amato
Prima del finale ad Abu Simbel c’è un passaggio cruciale nell’economia del film, quello della consapevolezza e della presa di coscienza da parte del gruppo di borghesi. Durante la festa a casa di Hal, una messa in scena rituale operata da Antonio tramite il simulacro di un’ipnosi è volta a svelare la vera natura di questi uomini e queste donne. Crystal afferma: “Non c’è un meglio un peggio in noi. È solo noia, infinita, incommensurabile, eterna noia”, poi sembra correggersi, ma, di fronte all’evidenza, è costretta ad ammettere la dura realtà: “Scusate, non volevo dire questo…però è la verità”. Subito dopo è la figlia Magda e dire: “Non ho ancora vent’anni e già puzzo di cadavere”, mentre Carlo non pronuncia parola ma in un raptus improvviso distrugge la sua macchina fotografica (e quindi se stesso). Infine tocca ad Hal che, prima viene incalzato da Crystal: “Tu non sei neanche un pederasta. Sei la mummia di un pederasta”, e poi è costretto ad ammettere la sua nullità, il suo fallimento come attore e come uomo. Emanuelle, invece, sotto l’effetto dell’ipnosi, esprime tutta la sua natura selvaggia e ancestrale: uccide un agnello, ne beve il sangue e, dopo essersi spogliata e abbandonata al delirio, vorrebbe ardersi viva – viene fermata in tempo dal resto del gruppo.
Questo momento è sottolineato dal montaggio parallelo tra ciò che avviene realmente e ciò che è desiderio della donna, in una visione onirica di un sabba orgiastio tra lei e la sua natura. Solo Laure rimane immune dall’ipnosi di Antonio, lo respinge, lo sbeffeggia e infine interrompe il rito mettendosi a ballare sulle note di una musica moderna: ancora una volta l’angelo biondo è quindi rappresentazione della realtà e la sua missione è quella di resuscitare questi cadaveri dal sonno eterno in cui sono sprofondati. Il finale ad Abu Simbel, testimonia utleriormente il valore manipolatorio della giovinezza – già presagito da Rondi in Tecnica di un amore. Laure si reca con Antonio nel tempio limitrofo a quello di Abu Simbel e – mentre questi le chiede di fuggire assieme dicendole: “Sei una donna vera tu”– la giovane ne svela l’ipocrisia; quella del santone è solo la maschera dietro a cui nascondere la propria fragilità perchè egli è semplicemente ciò che le ricorda la donna: “Ti chiami Antonio, hai solo vent’anni, sei come me”. Brunello Rondi visualizza il realismo e la verità della coppia attraverso il mostrare i due corpi nudi l’uno di fronte all’altro, in un’immagine naturale, semplice e reale dei corpi. Velluto Nerosi chiude con un’immagine che appare posticcia, o comunque inserita in un secondo tempo (come si nota dal diverso abbigliamento di Laure) in cui lei ed Emanuelle si incamminano nude (dopo essersi spogliate) verso l’orizzonte, in atteggiamento libero e giocoso, presagendo il ritorno alle origini. Il finale più probabile, e anche più in linea con la struttura narrativa del film è quello in cui Laure, si allontana da sola dal gruppo chiosando: “E in quanto a voi fantasmi…un piccolo saluto”. L’ “angelo” torna da dove è venuto, e la sua missione è naufragata di fronte all’impossibilità di resuscitare che è morto.
Velluto neroè l’opera definitiva, estrema e terminale di un regista controverso, capace di grandi genialità come d’improvvise cadute di tono, in cui nonostante l’andamento caludicante, i passaggi irrisolti, la semplicità (apparente del plot), si respira un’atmosfera magica in cui ogni fotogramma appare intriso di qualcosa di indefinito e magnetico. È come se gli intenti autoriali annegati in una struttura di genere trasudassero dalla pellicola, permeando il tutto di una violenta e passionale critica alla società: la morte incontrovertibile di un mondo che il regista non ritiene più appartenergli. Tanto è vero che l’opera successiva (e ultima), LaVoce rappresenta il tentativo (una necessità fisiologica) di tornare alla spiritualità profonda del cattolicesimo e alla cultura originaria del regista e del suo essere profondamente cattolico.
di Fabrizio Fogliato
Velluto nero (1976)
Regia/Director: Brunello Rondi |