The End: il loop che sancisce l’assoluta reversibilità dell’atto di morte
La tensione che lentamente si insinua nei due film agisce su di un set/architettura che è riproposizione del vivere quotidiano. I corridoi, le porte, gli stipiti attraverso cui osserviamo l’agire dei protagonisti sono passaggi virtuali in cui si muovono “mostri” annidati nell’ombra. L’utilizzo insistito del sonoro fuori campo anticipa tutta una serie di aspettative e condiziona inevitabilmente il desiderio di vedere ciò che è successo dall’altra parte. Questa dimensione angosciante e perturbante e data dalle barriere che dividono gli spazi che costituiscono un’interdizione tra sentito/mostrato e tra desiderio di conoscere la soluzione dell’atteso/inatteso. L’attrazione/repulsione che ne scaturisce è innescata dal sonoro mentre il mostrato resta ineluttabilmente fuori. Questo accade non solo per lo spettatore ma anche per i protagonisti che non vedono mai ciò che accade nell’altra stanza.
Importantissimo a questo punto è risalire all’azione di deprivazione sensoriale che anche il set architettonico accoppiando le due forme di interdizione,può infondere. Infatti la qualità materiale del set è quella di essere opaco e di negare all’occhio una parte almeno della sua potenza (può offrire zone poco illuminate, buie o invisibili per sue complicate qualità topografiche, come nel caso delle quinte di un labirinto): l’azione sostanzialmente è quella di limitare il campo più di quanto non sia già limitato.[i]
Queste limitazioni trovano la loro determinazione nei finali dei due film. Funny Games si chiude con un loop che esalta la superiorità di Peter e Paul e che sancisce l’assoluta reversibilità dell’atto di morte che attraverso lo sguardo in camera di Paul evidenzia la passiva accettazione da parte dello spettatore dell’orrore esistenziale. The Visitors si chiude con un campo fisso immerso nella semi oscurità, chiuso su Martha e Bill seduti uno di fronte all’altro, leggermente sfasati e con in mezzo la culla vuota. Un altro loop, quindi, che – attraverso l’inquadratura dall’alto – chiude il cerchio del film riprendendo l’assenza di sessualità raccontata all’inizio. Bill chiede a Martha, che ha appena subito lo stupro da parte di Mike: “Stai bene?” e lo schermo diventa nero.
Nella apparente diversità, i due finali sono invece perfettamente sovrapponibili quale espressione di quella “visione negata” che omette volutamente il lato positivo della vita. Non c’è quindi alcuna possibilità di fuga dal circolo vizioso della violenza, perché questa alimenta se stessa e tutto si riduce ad una sostanziale caccia tra gatto e topo in cui il desiderio che qualcosa possa succede per interrompere l’orrore, viene inesorabilmente frustrato. Così come Peter ogni volta rompe le uova, così ogni volta la morte cerca, cova e sopprime le sue vittime.
[CONTINUA]
di Fabrizio Fogliato
[i] Davide Manti, Ca(u)se perturbanti, Lindau, Torino 2003, p. 301