Il rogo “sacro” dell’immoralità: il male antropologico di una comunità spaventata
Quello che appare nel film come la componente orrorifico-fantastica (legature notturne, graffi su braccia e gambe, la camminata a ragno in chiesa e la xenoglassia) nell’ottica di Rondi è solo la riproduzione “in soggettiva” della visione della comunità: Purificazione e il suo martirio sono (sin dal nome e dalla condizione psichica) il lavacro necessario per mondare una comunità corrotta e terrorizzata da un Male che lei stessa nutre e alimenta; motivo per cui Purif appare come il detonatore in grado di far saltare gli antichi e precari equilibri su cui si regge tale comunità.
Questa dicotomia è ben rappresentata in due sequenze del film che – per contenuto e “filosofia” – si presentano come opposte. La prima è quella – seguente al matrimonio di Antonio – in cui suoceri e genitori preparano il letto nuziale mentre gli sposi attendono fuori dalla porta chiusa della camera da letto. Attraverso tutta una serie di accorgimenti si fa in modo che il Male venga assorbito e il talamo liberato da ogni presenza maligna.[1] Se in questa sequenza emergono le finalità benigne e e purificanti della bassa magia cerimoniale, in quella che racconta la confessione pubblica dei peccati si evidenziano l’ipocrisia nonché l’inclinazione al Male della comunità che – come sottolinea, ulteriormente, la successiva sequenza del rito magico per allontanare la tempesta imminente – identifica in Purif la causa esterna (che non le appartiene) di tutti i mali che la affliggono. La confessione pubblica dei peccati è preceduta – con rigore scientifico e documentario – dalla processione delle pietre dove queste sono il simbolo dei peccati che ognuno trasporta lungo l’ascesa al colle per poi depositarle sul sagrato della chiesa prima di dare avvio alla pubblica ammenda. Quello che colpisce è che i peccati urlati dai membri della comunità – contemplano il furto, la violenza, domestica, desideri incestuosi e pedofili, l’omicidio e la bestemmia – sono declamati con disarmante leggerezza tra l’indifferenza generale.
Peccati ben più gravi delle (presunte) colpe di Purif che ammette di aver parlato con il demonio – cosa, peraltro, pretestuosa, nel suo tentativo disperato di compiacere la comunità (ammettendo davanti ad essa una colpa, imputatale ma non commessa, per poter essere perdonata e reintegrata). La società che è disposta, paternalisticamente, a perdonare ogni forma di abominio commessa da un suo membro, colpevolizza e condanna la confessione di Purif che, ai suoi occhi, è ormai classificata come catalizzatore del Male (causa scatenante dell’avvicinarsi della tempesta) e minaccia alla sua prosperità economica e materiale. Dopo che la famiglia l’ha “sepolta viva” sotto la sua casa per preservarla dal linciaggio è lo stesso Antonio che – caricandosi sulle spalle la salvezza del raccolto e dell’integrità morale della comunità – dopo averla posseduta un’ultima volta, la uccide con una pugnalata (come un vampiro) liberandosi, così, dalla paura e concretizzando il desiderio sottaciuto di tutta la comunità.
di Fabrizio Fogliato ©
[1] Dopo aver evocato la presenza di quattro santi agli angoli del letto – disponendo acini d’uva passa a disegnare una croce e ponendo una falce sotto il letto – viene pronunciata la formula: “Con la falce taglio le gambe alla morte. Con la falce le lacrime taglian la voce. Con la falce sotto il letto dal demonio sei protetto”