I LIBRI DI INLAND #6
Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano
di Fabrizio Fogliato con prefazione di Romolo Guerrieri
Bietti Edizioni, 2022

Itinerario n.02: andata: L’età dell’oro (stralci)

Il territorio del dopoguerra – in alcune sue spigolature – si presenta come un recinto, uno spazio estraneo e irriconoscibile attraversato da tensioni continue e soverchianti che mettono in discussione attinenze e regole vigenti. È uno spazio in cui le normali relazioni sono sospese, luogo fuori dall’ordinario perché ricettacolo di dolore e sofferenza. Ne consegue la necessità di un agire straordinario ed emergenziale che genera, inevitabilmente, la sospensione della norma. Si mette cioè in atto – da parte delle istituzioni – un dispositivo (che ben presto risulta essere inadeguato, per inefficienza, mancanza di mezzi, disorientamento generale) volto a contenere l’aggressività e la frustrazione che si animano all’interno delle relazioni sociali.

[…]

L’uso di aree urbane influenzate dallo stile espressionista si trova in Il bivio (1951) di Fernando Cerchio, nella sequenza ambientata nel cortile di un palazzone di Porta Palazzo a Torino in cui – con un long take – il regista mostra le donne ai balconi, appoggiate al davanzale delle finestre o sulle scale, intente a interrogarsi sui fatti di sangue che riguardano una di loro. Il film di Cerchio declina l’elemento unheimlich ragionando sullo sradicamento dalle campagne, inteso come surrogato della paura e della crisi d’identità che la città produce. Elemento che prende consistenza nelle parole di Gino (Pierangelo Attino), cacciato dalla banda di Aldo Marchi (Raf Vallone): Hai paura. Anche tu hai paura. Ti faccio schifo. Ma di chi è la colpa se sono così? Chi mi ha levato di casa? Chi mi ha portato in questa sporca città? Ho paura di me stesso, di quello che posso fare.

Si innesta un cortocircuito che vede il doppiogiochista (poliziotto/criminale) Aldo entrare in crisi nel momento in cui viene uccisa una donna indirettamente collegata a una delle rapine da lui organizzate. La paura prende il sopravvento, si trasforma in angoscia fino a diventare paranoia: l’elemento unheimlich è la giacca «a scacchettoni da gagà» indossata dal presunto assassino. Aldo confessa questa vertigine a Giovanna (Claudine Dupuis): Non so neanche io cosa mi stia succedendo. So soltanto che devo trovare una stupida giacca a quadri e comincio ad aver paura di non trovarla. Paura capisci? Devo trovare l’assassino; se anche non fossi nella polizia lo cercherei dovunque per strozzarlo con le mie mani. Non mi riconosco più. Non riesco a pensare ad altro.

Certezze, sicurezze, verità acquisite vengono minate dalla città che ha “partorito” un indumento fortemente caratterizzato e riconoscibile, tanto fantasmatico e immateriale – nonostante dovrebbe essere il concreto contenitore di un corpo – da determinare lo stordimento del protagonista e la sua crisi di identità.

Per saperne di più:

www.conlarabbia.it

di Fabrizio Fogliato ©

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