I LIBRI DI INLAND #6
Con la rabbia agli occhi. Itinerari psicologici nel cinema criminale italiano
di Fabrizio Fogliato con prefazione di Romolo Guerrieri
Bietti Edizioni, 2022
Itinerario n.03: andata: La febbre dell’oro (stralci)
Un maledetto imbroglio (1959) di Pietro Germi ‒ come sottolinea Roberto Curti ‒ nasce da un matrimonio che sembra improbabile ma che (come vedremo anche nel prossimo capitolo) dà vita al convitato di pietra di tutto il “nero” di matrice borghese e spinge le sue spire di influenza molto lontano nel tempo.
È difficile immaginare un incontro più improbabile: un regista fautore di un cinema di genere robusto e privo di fronzoli, e un autore che fa degli sperimentalismi letterari un grimaldello per scavare nel linguaggio, nella cultura, nella psiche di un intero popolo. […] In entrambi, romanzo e film, il genere poliziesco – continuamente eluso, scardinato nelle forme e nelle convenzioni da Gadda, affrontato di petto dal regista – è veicolo di uno sguardo morale, disperato e sarcastico insieme1.
Forte delle esperienze precedenti, al passo con i tempi dell’immediatezza comunicativa, Germi comprende come il genere possa diventare il viatico migliore per raccontare la realtà nel suo divenire. Il suo film ha la struttura e la costruzione di un articolo di giornale che indaga il malcostume del Paese ‒ già irrimediabilmente corrotto, cinico, spregiudicato, cattivo – che impunemente si muove sulla lama del rasoio.
L’autore bilancia la sceneggiatura tra narrazione vera e propria e richiami alla realtà (su tutti il “caso Fenaroli” che, come il romanzo di Gadda, diventa presenza costante per molto cinema a venire). È spietato nel mostrare un’Italia marcia, egoista, perversa, indifferente, non fa nulla per trattenere il suo disprezzo. Come ha evidenziato Alberto Pezzotta, è sul piano della rappresentazione sessuale che Germi non solo non fa sconti, ma si spinge a esprimere un punto di vista morale (mai moralista) in merito alla corruzione endemica di una società che non sembra più in grado di controllare i suoi appetiti più basici.
[…]
Persino i personaggi secondari, in Un maledetto imbroglio, sfoggiano atteggiamenti opportunisti, egoisti, qualunquisti. Il vecchio generale Pomilia (Antonio Acqua) si ringalluzzisce quando il poliziotto gli chiede di fare rapporto, perché la richiesta rappresenta l’occasione per tornare a contare, a rivestire (forse un’ultima volta) il suo ruolo di militare. Il Maresciallo P.S. (Saro Urzì) è sempre con il panino in mano o in tasca (sempre lo stesso) quasi a voler sottolineare, indirettamente, le sue difficoltà economiche di pubblico funzionario; al momento dell’arresto di Enea Retalli (Gianni Musy Glori) non esita a farsi fotografare in bella posa per avere un po’ di notorietà sulle pagine dei giornali (vive costantemente all’ombra di Ingravallo). Lo stesso Ingravallo, oltre ad avere un’amante con cui frequenta promiscui bungalow sul litorale romano, assume atteggiamenti ambigui di invidia di fronte alla facilità con cui Diomede Lanciani (Nino Castelnuovo) esercita, “per arrotondare”, la professione di gigolò con le turiste americane. Il “dottore” si vergogna della sua condizione (come dimostra un brevissimo ma significativo inciso cinematografico): ad Assunta Jacovacci (Claudia Cardinale), che si è recata a comprare gli anelli di matrimonio, chiede «Perché ti vergogni?», prima di guardare la sua mano senza anello e subito ritrarla frettolosamente, stizzito con se stesso.
Per saperne di più:
www.conlarabbia.it
di Fabrizio Fogliato ©
1 Curti R., Italia odia – Il cinema poliziesco italiano, Lindau, Torino 2006, p. 28.