Sexual Revolution…
“I believe pornography is at the center of the biggest cultural revolution of our century”.Parola di Lasse Braun, ovvero l’italianissimo Alberto Ferro, colui che la rivista newyorkese “Escapade”, nel 1981, ha definito come “ il padre della pornografia moderna”. Come sempre nelle etichette c’è un misto di esaltazione e approssimazione; certo è pero, che, indiscutibilmente, Lasse Braun è stato un pioniere “di qualità” nel campo, un abile “politico” e, a suo modo, anche un rivoluzionario. Alberto Ferro nasce ad Algeri nel 1936, figlio di un diplomatico italiano e proveniente da una ricca e nobile famiglia italiana. Sin da piccolo, per lignaggio, è destinato a seguire le orme del padre, ma è anche, irresistibilmente attratto dalla sessualità. Egli racconta con una certa enfasi ed esagerazione: “La prima scopata fu nell’aprile del 1944, con Wilma, quando nel parco della villa di mio zio, sul lago di Como, si tenne il party per il mio ottavo compleanno. Anche se a spiegarmi tutto sul sesso fu Joe, un soldato nero USA che arrivò a Cernobbio nel ’45. Lo vidi montare mia cugina e poi mi spiegò tutto, svelandomi i misteri del sesso arrivando persino a disegnarmi in terra, con un rametto, quello che succede tra uomini e donne” (intervista a Lasse Braun, in booksblog.it, 8 marzo 2010). Lasse Braun dal 1956 al 1961 è iscritto all’Università Statale di Milano, dove si laurea in Giurisprudenza, e presenta come tesi un lavoro dal titolo “Censura giudiziaria nel mondo occidentale”, che negli anni dell’oscurantismo sessuofobo della DC, viene rifiutata e provoca sdegno nel mondo accademico. Il giovane Braun, inizia così un percorso anti-istituzionale finalizzato ad abbattere la sessuofobia imperante e a smascherare l’ipocrisia repressiva del potere.
Il 20 settembre 1961, il giovane Ferro, legge su “il Giorno” un articolo riguardante un gruppo di uomini arrestati a Genova perchè in possesso di materiale pornografico. Egli stesso racconta: “Avevo saputo che il fratello di una mia cara amica era stato arrestato a Genova con una valigia piena di materiale definito pornografico. Si può immaginare: si trattava di riviste francesi con foto di ragazze in bikini e qualche romanzetto erotico più una trentina di filmini 8mm. In bianco e nero, roba inguardabile, oltre che alcuni album naturisti svedesi. Eppure quel ragazzo finì al carcere di Marassi. Gli diedi una mano ad uscire. Lui voleva piazzare quella roba per rifarsi di una perdita al casinò, ma a quel punto era terrorizzato. E così persi io il suo posto, scoprendo che il suo fornitore di Montecarlo si approvvigionava presso un tabaccaio di Bruxelles” (Michele Giordano, Il rivoluzionario del porno, Nocturno cinema n°4 (nuova serie), settembre 1997, pag. 78). Dietro l’immagine del diplomatico (la sua Mercedes è targata CD – Corpo Diplomatico), nel primo lustro degli anni ’60, Alberto Ferro gira l’Europa e comincia a produrre in proprio filmini hard-core in super-8 e 16mm. Ad Amsterdam è titolare di una casella postale a nome “Babbo Natale”, da cui spedisce e smista il materiale auto-prodotto; colleziona denunce, per oscenità, in mezza Europa, fino a quando nel 1966, il governo della danese legalizza gli scritti pornografici e, tre anni dopo, il 4 giugno 1969, anche le immagini e i film.
Braun contribuisce in modo determinante al processo di legalizzazione attuato dal governo di Copenhagen, e di seguito in tutto il nord Europa: nel 1969, infatti, egli si trasferisce a Stoccolma dove fonda la AB Beta Film con cui produce decine di cortometraggi hard della durata massima di dieci minuti, creando una vera e propria factory. Il primo si intitola Golden Butterfly ed è interpretato dallo stesso Alberto Ferro e da una sua amica truccata da geisha; a questo seguono, tra gli altri, Blow-up’70, Sex on the Motorway e Dream of Nimphomaniac, tutti distribuiti clandestinamente da due etichette di proprietà: la Eros Film e la Ciro’s Film. I corti di Braun vengono spediti in tutta Europa fino a raggiungere un numero abnorme, ma reale, di cinquantamila clienti (da notare che circa due terzi sono italiani), prima che l’ex-diplomatico incontri la persona che cambierà radicalmente le sue prospettive di guadagno. Nel 1971, a Stoccolma, Lasse Braun incontra Reuben Sturman, l’inventore del peep-show, con il quale stringe un sodalizio commerciale che gli apre le porte del mercato U.S.A.. Il pubblico di New York, San Francisco, Cleveland che affolla le sessantamila sale provviste di peep-show machines, con un quarto di dollaro può gustarsi, due minuti alla volta, gli short di Lasse Braun. È così che i 16mm. di Alberto Ferro conquistano il mercato americano e il guadagno raggiunto gli apre le porte della produzione di lungometraggi.
Nei primi mesi del 1973, il transfugo italiano, realizza il suo primo film in 35 mm, Penetration (poi rititolato French Blue) in cui i titoli di testa scorrono sulle animazioni del vignettista Siné, mentre il film è un collage di cinque filmetti hard, ironici e gaudenti (tra cui il famoso Cake Orgy), realizzati tra il 1970 e il 1972, la cui protagonista assoluta è Brigitte Maier. L’escalation verso un successo clamoroso è cominciata, e trova consacrazione nel Maggio del 1974 quando Penetration viene proiettato al Festival di Cannes. Ma è l’11 Maggio del 1975 che avviene qualcosa di impensabile: il secondo film di Lasse Braun (pietra miliare del genere) Sensations viene proiettato per una settimana di fila al Festival di Cannes e nel cinema in cui viene proposto, gli ottocento posti a disposizione, sono esauriti ad ogni proiezione, mentre sulla Rue d’Antibes, deve intervenire la Gendarmerie per tenere sotto controllo la calca. Il 2 Novembre 1975 Sensations attraversa l’Atlantico e sbarca negli Stati Uniti e, per promuovere il film, Lasse Braun compra un’intera pagina del New York Times, mentre in Francia il film viene richiesto da oltre duecentoventi sale cinematografiche. La critica, anche quella non di genere, si accorge di Lasse Braun e lo celebra come “autore” e come “innovatore”, colui che ha realizzato, secondo Bill Margold, il miglior film hard-core non americano, mentre Jim Hollyday scrive: “Lasse Braun è un genio eccentrico che, quando è in forma realizza veri capolavori (…) Sensations è il più eccitante film straniero mai girato e anche sul piano stilistico è talmente sontuoso che nel film il sesso diventa arte”. (Nick Hanning e David Hebditch, Porn Gold, Faber & Faber, pag. 208; trad. Fabrizio Fogliato).
Sensations viene girato in dodici giorni nell’autunno del 1974 fra il Belgio e l’Olanda, ad Amestrdam e dintorni, con un gruppo di amici-attori, e racconta il viaggio da Londra alla capitale dei Paesi Bassi, di due donne, Margaret (Brigitte Maier) e Veronique (Veronique Monet), le quali sulla nave partita da Dover incontrano Lazlo (Pierre Latour), un violinista che le introduce in una villa in cui arte reale (libri) e “arte sessuale” (le sue performance) convivono inscindibili. Da lì in poi, le due donne si concedono a svariate esperienze sessuali, prima di approdare nella villa di Lord Weatherby (Robert Le Rai) e Lady Pamela (Tuppy Owens), luogo in cui vivranno un’esperienza di amore collettivo nella libertà più assoluta e immerse in un’atmosfera di disincanto.
Nonostante quanto detto sopra, Sensations rappresenta per Lasse Braun una sconfitta commerciale, come racconta egli stesso: “I diritti di produzione sono stati comprati da un distributore francese, ma poco prima che uscisse il film, il governo proibì film porno stranieri, così ho perso 10-20 milioni di dollari (booksblog.it). In italia il film di Lasse Braun esce con il titolo Labbra. Sensations è a tutti gli effetti un “manifesto” della rivoluzione sessuale in quanto prodotto “di genere”: trama esile, continuità delle scene di sesso (etero e lesbo), il tutto però concentrato in una formula, rara a vedersi negli anni a venire, capace di coniugare erotismo e pornografia (smentendo l’assioma secondo cui pornografia = negazione dell’erotismo). In quasi 1h e 20 min., Lasse Braun, sintetizza, con eleganza e raffinatezza, un campionario di scene hard-core, coloratissime, originali, curiose e goliardiche, senza mai né annoiare né infastidire lo spettatore.
Il primato di Sensations, è dunque temporale: essendo il primo di tutti gli altri, la sua struttura filmica e il suo contenuto sessuale, appaiono “rivoluzionari” e attraenti. Costruito interamente sul raccordo di sguardo (c’è sempre qualcuno che guarda qualcun altro), riconduce il voyeurismo al piacere di guardare, conservando, incredibilmente, un velo di innocenza nel mostrare anche le pratiche più estreme (come il pissing) e riportando lo sguardo alla sua relazione naturale con l’eccitamento. Sensations, infatti, conserva tutt’oggi la sua carica eccitante, grazie alla rappresentazione di una sessualità libera e vivace, tratteggiata da colori sgargianti, in cui spazi, vestiti e oggetti diventano erotici a loro volta perchè guardati, osservati e desiderati. Nel film di Lasse Braun, il sesso è già nell’approccio delle relazioni umane: basta lo scatto di una fotografia ricordo (come nella scena iniziale) per andare subito oltre alla semplice conoscenza e addentrasi in dialoghi carichi di erotismo per manifestare un desiderio debordante insito nella natura stessa di uomini e donne. Lasse Braun, riesce dunque, nel “miracolo” di parificare il ruolo della donna e dell’uomo nella pornografia, concedendo ad entrambi solo piacere e godimento e senza mai presentare un “dominatore” e un “dominato”, e un “possessore” e un posseduto”. Emlematica, a tal proposito, è la scena del taglio del vestito da parte di Lazlo e il successivo amplesso sulla chaise longue tra nastri colorati, legati dolcemente, che accarezzano il corpo della donna. Quello presente nel film è dunque un vero e proprio carnevale (nel senso medioevale del termine), in cui le maschere, ormai cadute, svelano un società “sessualizzata”, disinibita, libera e “pura” in cui il sesso è trasversale e abolisce le classi sociali oltre ad eliminare barriere di razza, lingua, religione (l’orgia finale nella villa).
Sensations è un vortice di colori che emergono nella biancheria intima e nei vestiti glamour, gepierre, calze, scarpe, slip e reggiseni fanno la loro comparsa mentre uomini e donne si spogliano, e sorprendono con i loro colori sgargianti e inusuali, per poi diventare subito dopo, oggetti di feticismo (come nella galleria d’arte) o di godimento (come durante il party). La rappresentazione artistica con cui è costruito Sensations proviene dal surrealismo (di cui si contaminano situazioni e immagini) e dall’onirismo (nella visione globale di una società senza limiti); elementi questi, che intaccano anche i codici cinematografici secondari come il sonoro che, attraverso una partitura misticheggiante e lisergica, sottolinea le varie situazioni hard per poi, ogni tanto, interrompersi per lasciare spazio al sonoro dello sciaquio dei rumori sessuali. La carica eccitante di Sensations, infatti, deriva dalla capacità di Alberto Ferro di mescolare in maniera unica (e irripetibile) istanze diverse in ambito sia diegetico che extra-diegetico, tutte finalizzate alla rappresentazione di un sesso gaudente e sgravato di ogni colpa, con l’obiettivo primario di regalare allo spettatore un piacere che non è solo quello della visione. Il regista sembra, comunque, essere consapevole dei limiti oggettivi delle sue teorie e della sua rappresentazione filmica, come dimostra l’improvvisa (e inaspettata) piega perturbante che caratterizza il finale del film.
Al termine dell’orgia trans-generazionale (che richiama quella di Behind the Green Door (1973) dei Mitchell Bros.), che chiude Sensations, Margaret viene circuita da un gruppo di uomini e donne che hanno l’intento d possederla. La donna viene progressivamente spogliata, baciata e poi penetrata, ed infine diventa strumento di “gioco” in cui a turno, i personaggi, girando attorno al suo corpo, la ricoprono di coccole e piacere. L’inquadratura a plongée mostra l’immagine “artistica” della comunione dei corpi mentre la musica psichedelica sottolinea i vari momenti attraverso un montaggio che si fa progressivamente più serrato e astratto, volto a destrutturare il corpo in tante parti mettendo in evidenza iperrealista (attraverso il close-up) i vari dettagli sessuali. Poi quello che fino a quel momento è stato un gioco si trasforma in un “pasto” simbolicamente antropofagico in cui il corpo della donna viene continuamente morsicato e il piacere lascia il posto al dolore, mentre l’immagine si stringe fino ad escludere i corpi degli uomini e delle donne che, allontanandosi, svelano la realtà: al posto del corpo di Margaret c’è solo un banale cuscino; l’immagine passa dal positivo ad un negativo virato di rosso, prima di lasciare spazio ai titoli di coda. È stato tutto un sogno, quello del film, come quello della rivoluzione sessuale?
di Fabrizio Fogliato