Una canzone, uno stupro e la messa in discussione psicologica e spirituale del vivere umano contemporaneo
Il tenente Lt (Harvey Keitel) accompagna i due figli a scuola, li insulta e dopo averli salutati, appena solo sniffa cocaina. Si reca sulla scena di un crimine, dove ci sono due ragazze morte in macchina. Egli però è più interessato a raccogliere le scommesse dei colleghi sulla partita di baseball dei L.A. Dodgers, su cui ha appena puntato quindicimila dollari. Incontra uno spacciatore, salgono su per le scale di un palazzo fatiscente e qui il tenente vende al pusher un sacchetto di droga. Prima di andarsene fuma del crack. Due prostitute recitano un bondage lesbico. Il tenente si ubriaca, balla con loro e poi nudo e piangente mima una crocifissione. In un negozio cinese ferma due ladri, non li arresta, ma anzi si fa consegnare il bottino. Si reca a casa di un’amica drogata (Zoë Lund) dove si buca con lei e fuma ancora del crack. Dorme a casa sul divano, si sveglia, insulta la suocera, cambia il canale della televisione mentre la figlia sta guardando i cartoni animati, e guarda la partita dove i Dodgers stanno ancora perdendo. Si reca sulla scena di un altro delitto e cerca di intascarsi la droga che c’è nella macchina, che però gli cade in maniera ridicola sotto gli occhi dei colleghi. Questi gli parlano dello stupro di una suora ad Haarlem e della taglia sui colpevoli messa dalla mafia. Il tenente va all’ospedale, spia la suora nuda e viene a sapere che è stata stuprata con un crocifisso. Il tenente ferma due ragazze per un fanale rotto. È notte e piove. Le costringe una a mostrare il sedere, l’altra a mimare una fellatio, mentre lui si masturba davanti a loro. Va nella Chiesa dove hanno violentato la suora, si sdraia e abbraccia una Madonna caduta. Più tardi ascolta il perdono che la suora concede ai colpevoli senza denunciarli. Sale in auto, sniffa cocaina e quando sente che i Dodgers hanno di nuovo perso spara sulla radio. Alla prima comunione della figlia, impreca in Chiesa mentre un bookmaker gli ricorda i suoi debiti. A casa sniffa cocaina sulle foto della comunione. Va in discoteca, si droga e scommette altri soldi sui Dodgers. Va da un suo amico spacciatore a ritirare una scatola piena di soldi ($ 30.000). Quando esce fuma crack per le scale. In auto assiste nervoso all’ennesima sconfitta dei Dodgers. Va dalla suora per convincerla a denunciare i suoi stupratori, ma questa gli consiglia di parlare solo con Cristo. Solo, in Chiesa, bestemmia piangente e digrignando i denti rabbioso si rivolge ad un Cristo dolce e silenzioso; gli si avvicina a quattro zampe chiedendo perdono per i suoi peccati e gli bacia i piedi invocando il suo aiuto. Alza lo sguardo e vede una donna nera che è venuta a riportare il calice rubato dai violentatori che lei conosce. Il tenente raggiunge i due ragazzi Paolo e Julio, li ammanetta, fuma crack con loro e li accompagna in macchina al terminal dei bus, dove piangendo li libera e consegna loro la scatola con i trentamila dollari. Li invita a salire sull’autobus e a lasciare la città. Sale in macchina e poco dopo gli si avvicina un’auto. Gli sparano nell’indifferenza più totale, poi qualcuno si accorge di lui.
Il cinema del regista newyorkese che si affaccia sugli anni ’90 è, se possibile, ancor più viscerale e pregnante rispetto a quello espresso nei decenni precedenti. Forte sia dell’apprendistato tecnico sviluppato attraverso la regia televisiva, sia delle complessità economiche che stanno alla base della produzione dei film, ampiamente sperimentato sulla sua pelle, Abel Ferrara, negli anni’90 esprime un cinema complesso e personalissimo (ancor più di quello precedente) e affida la sua ispirazione a maestri del rigore e dell’indipendenza come Robert Bresson, John Cassavetes, Pier Paolo Pasolini e Luis Buñuel. Un cinema che diventa presto un’esperienza totalizzante, quindi, al limite della dipendenza, che fa della radicalità e dell’essenzialità le caratteristiche più evidenti a uno sguardo superficiale. Se si vuole superare la soglia però, si scopre un cinema irregolare, discontinuo e imperfetto. Queste caratteristiche che generalmente hanno connotazione negativa applicate al regista newyorkese assumono invece una valenza positiva. Questo perché il suo cinema si nutre di vita, anzi è vita, cioè realtà: e la realtà non è sempre lineare e pulita, ma è anche sporca, disordinata, confusa. Per Ferrara non esiste il confine tra finzione e vita vissuta, e basta sentire alcune sue dichiarazioni per rendersene conto:“Sul set davanti alla macchina da presa non sarebbe più vita reale? Cos’è, si passa in un’altra dimensione quando si gira un film?”[1]E ancora:“Ogni film è potenzialmente uno snuff, nel senso che il pericolo è sempre presente sul set, durante le riprese.”[2]Dunque ogni film diventa potenzialmente una “guerra” da combattere in prima persona contro un nemico invisibile nascosto nella propria anima. Già perché il cinema di Ferrara si nutre di dubbi e paure, interroga e destabilizza continuamente lo spettatore, distrugge gli schemi, penetra i corpi degli attori fino a sviscerarne l’essenza. Cinema che parte dal cervello per raggiungere lo spirito. Ed è uno spirito inquieto, combattuto, alla continua ricerca di se stesso; da un lato schiacciato dalla tentazione del Male ma dall’altro risollevato dalla presenza di Dio. È un cinema “doppio” che fa del “libero arbitrio” cattolico la sua linfa vitale.
Bad Lieutenant (Il cattivo tenente, 1992) è un film ibrido, che nasce da una canzone, si sviluppa tra reminiscenze cinematografiche alte e basse, e si conclude con una messa in discussione psicologica e spirituale del vivere umano contemporaneo. La canzone omonima viene scritta dallo stesso Ferrara, quando sulla prima pagina del Daily News, appare la notizia dello stupro di una monaca a Spanish Haarlem: “Non si è svolto in una Chiesa e i violentatori non sapevano nemmeno loro che essi avevano violentato una monaca. Ma era così orribile, così orribile che è difficile anche pensarci”.[3]Il caso diviene celebre perché le indagini vengono affidate a Bo Dietl, il poliziotto più decorato di New York, che appare anche nel film di Ferrara nel ruolo di un detective. Bo Dietl, pubblica la sua autobiografia nel 1998: “One Tought Cop”, che avrebbe dovuto essere portata sullo schermo dallo steso Ferrara con Mark Whalberg come protagonista.[4]Se il referente occasionale di Bad Lieutenant resta Bo Dietl, il suo modello è invece incarnato dalla figura di Paolo di Tarso, abbattuto e vinto dalla grazia Divina sulla via di Damasco. L’intreccio è quindi da ricondursi sia ad elementi polizieschi sia ad una forte componente evangelica. Al film non partecipa Nicholas St. John, il quale da cattolico integralista quale è, non può accettare che la figura di Cristo venga rappresentata fisicamente nella pellicola e che reputa le domande sulla Grazia e sul Perdono poste nel film, troppo grandi per trovare risposte. L’assenza di Nicholas St. John nel ruolo di sceneggiatore è dettata da motivi molto profondi come spiega egli stesso nel corso di una conferenza stampa al Festival di Cannes del 1992:
“Credo che Harvey e Abel si pongano domande molto molto difficili. Il mio problema non è la domanda, ma la risposta. E io non sono pronto per dare questo tipo di risposta, e se non ci credo in un progetto al cento per cento, non posso parteciparvi. Qui la risposta corrisponde ad un Verità, ma quale è la verità?, quella che do secondo la mia interpretazione? Per Abel e Harvey la risposta è chiara , ma per me no. Ed è per questo che ho deciso di non lavorare in Bad Lieutenant, fondamentalmente per motivi religiosi e cristologici”.[5]
Accantonata momentaneamente la collaborazione con Nicodemo Oliverio, Abel Ferrara racconta l’episodio a Zoë Lund, che subito si dimostra molto interessata e la cui presenza nel ruolo doppio di sceneggiatrice e attrice, influenza pesantemente lo script finale (anche a causa dello stupro da lei subito in gioventù). Ferrara per le luci richiama Ken Kelsch, con cui non lavorava dai tempi di The Driller Killer, e che da ora in poi sarà collaboratore fisso per quasi tutti i film a venire. Kelsch predispone una luce gassosa e sporca, che modula l’impatto delle immagini e che permea tutto il film di un aurea spirituale. Joe Delia compone le musiche ma i brani fondamentali che caratterizzano la pellicola sono due, e non sono suoi: “Pledging di My Love” di Johnny Ace e “Signifying rapper” di Schoolly D.. Scelte , come sempre, non casuali, visto che la canzone di Johnny Ace è già presente nella soundrack di Mean Streats (Mean Streats – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno, 1972) di Martin Scorsese e che Ace, poco dopo la registrazione di “Pledging My Love” nel 1954, si suicida giocando alla roulette russa; mentre il gangsta-rap duro e violento di Schooly D., rimanda ad un concetto di guerriglia che passa dalle parole per giungere nelle strade, e in cui il turpiloquio si fa cifra stilistica e distintiva. La dolce melodia anni ’50 di Ace sottolinea, contrastandoli, i momenti di degrado del tenente e la sua morte, mentre il rap violento e volgare di Schoolly D. dà l’avvio alla sequenza dello stupro. Anche attraverso la colonna sonora dunque, il reale penetra nella finzione, secondo le prerogative postulate dal N.A.C. (New American Cinema) alla fine degli anni’50, di cui il cinema degli anni ’90 di Ferrara è profondamente debitore. Il film di Abel Ferrara è profondamente “scandaloso”, perché mette in scena l’autodistruzione per raggiungere la Grazia e trasforma il “cattivo” poliziotto nell’imitazione di Cristo. Il produttore di un’opera così estrema è l’indipendente Edward R. Pressman che con Mary Kane stanzia la cifra di ottocentomila dollari. Ma tutto parte da un primo incontro tra produttore e regista, e da un primo assegno.
“Ho conosciuto Abel grazie ad uno scrittore. Sin da subito, con lui, abbiamo parlato della possibilità di fare un film. Si trattava di New Rose Hotel, tratto da un racconto William Gibson. Chiesi ad Abel quanto era veramente interessato a questo film, e lui improvvisamente cominciò a parlarmi di un altro progetto che gli stava molto più a cuore. Allora gli dissi, ok, fammi vedere il soggetto e lui mi diede la sceneggiatura di Bad Lieutenant. La lessi e non ruiscii a togliermela dalla mente. Allora gli dissi: “perché non lo facciamo questo film?”. Harvey Keitel insisteva per farlo e arrivò persino a minacciarmi dicendomi che se non lo avessi prodotto avrebbe perso i miei figli in ostaggio. Pazzesco. All’epoca la mia società aveva dei fondi, circa $40.000, provenienti da un contratto giapponese, così non dovetti cercarli altrove. Abel era perfettamente a suo agio, raccolse una piccola troupe di amici e cominciò a girare nel cuore di Manhattan. Ha girato interamente delle scene in mezzo alla gente nascondendo la cinepresa, senza dover pagare delle comparse e delle autorizzazioni. Il suo modo è veramente unico. La comunità del film supera i limiti del set. La festa si prolunga fino a tarda notte anche se si ricomincia a lavorare di buon mattino. Egli si spinge fino all’esaurimento. Alla fine il film è costato in tutto $ 800.000. La macchina da presa, spesso, era nascosta dentro una macchina o un furgone, in modo da poter filmare ciò che accadeva fuori senza che nessuno se ne accorgesse. Il suo metodo è unico ed egli crea attorno a se un ambiente sociale a sua immagine: la follia dei suoi comportamenti non ha un reale effetto sulla realizzazione del film, dove mantiene un controllo incredibile dimostrando sia di essere un uomo intelligente che un vero maestro. Con lui c’è Harvey, affascinante e partecipe. Molte cose del film provengono da suoi suggerimenti, mentre altre erano troppo eccessive per poter essere prese in considerazione. Keitel era totalmente calato nel suo personaggio già molto prima dell’inizio delle riprese, senza neanche sapere se il film si sarebbe fatto o no, ed era perfettamente in sintonia con Ferrara che quasi non ha dovuto dirigerlo sul set. Bad Lieutenant è stato scritto con Zoë Lund, la quale già era una tossicomane e che ha profondamente influenzato il film. Esisteva, una prima stesura scritta da Abel e Nicholas St. John, ma non venne mai presa in considerazione. Il film venne distribuito da un a piccola società chiamata Aris Film e nonostante il divieto andò benissimo quasi ovunque, accolto molto bene sua dalla critica che dal pubblico”.[6]
di Fabrizio Fogliato
[1] “Cahiers du cinema”, n. 473, 1993 in Alberto Pezzotta, Abel Ferrara, Il Castoro, Milano, 1998, p.11
[3] Nicole Brenez, Bad Lieutenant(DVD + libro), Wild Side Video, Parigi, 2004, p.8, traduzione nostra
[4] Il film venne girato da Bruno Barreto nel 1998 con il titolo One Tought Cop(Poliziotto speciale)
[5] In Gene Gregorits, Abel Ferrara: The sex & guts interview, 2003
[6] Bad Lieutenant, Wild side video, Paris, 2004, traduzione nostra