Fenomenologia di una nevrosi
Il carrello iniziale su cui si apre il film – dopo una breve panoramica in esterno giorno – è modulato con un veloce movimento in avanti (simulazione di un’intrusione, di una penetrazione e di una profanazione) che si chiude sullo sguardo in macchina (in primo piano) di Purif (Daliah Lavi) la quale, nel suo voltarsi repentinamente, sembra sentire il peso e la valenza oscena di uno sguardo altro.
L’ambiguità di sguardo e di messa in scena preludono alla nevrosi – ben rappresentata dalla reazione emotiva della donna – letta come erotismo patologico o possessione demoniaca. La seconda sequenza del film – quella in cui Purif affattura Antonio (Frank Wolff) facendogli bere il vino in cui ha versato il filtro magico – oltre a configurarsi come comunione oscena, sottolinea l’incedere della sensualità istintiva e animale di Purif – qui configurata come tentazione maligna – nei confronti di Antonio, il quale prima sembra resistere poi, dominato dai sensi, cede, biblicamente, all’offerta erotica e carnale della donna. L’amplesso giunge prima che l’uomo beva il filtro magico e, pertanto, egli è perfettamente consapevole del suo agire perché non ha ancora subito nessuna legatura. E’ un momento rivelatore perché dimostra come l’uomo agisca – in un momento di abbandono dettato dall’isolamento nel contesto pesaggistico – in violazione del rispetto delle regole sociali manifestando la sua vera natura di innamorato altrimenti negata dalle convenzioni imposte dalla comunità di appartenenza.
L’amore ossessivo, bestiale e straziante che la donna prova nei confronti dell’uomo, agli occhi di questi è visto solo come una minaccia alla sua sicurezza economico-familiare nonché alla sua immagine di uomo rispettabile, desideroso – formandosi una famiglia – di contribuire alla vita economica della comunità cui appartiene. In questa dimensione dell’onorabilità ruolo determinante è assegnato alla religione e al ringraziamento a Dio. Se la prima sequenza – nel riprendere il rito di fascinazione mette, in ogni inquadratura, sullo sfondo di Purif sempre immagini sacre – tende a dimostrare l’incoerenza e l’ambiguità che legano il rapporto fede/magia, non va dimenticato che il sincretismo tra le due componenti, etnologiacemente, è ricondotto alla presenza del sacro che alligna in ogni individuo, soprattutto in quello che vive situzioni di indigenza e miseria. Pertanto alla magia cerimoniale spetta il ruolo di mediatrice potenziale di valori cristiani.[1] Antonio – pur sapendo di amare Purif di un amore carnale e istintivo fuori tanto dal matrimonio quanto dalla finalità procreativa e, pertanto, immorale agli occhi della comunità – rinuncia al suo sentimento verso una donna che la società ha deciso di allontanare e isolare perché ritenuta un cancro in grado di distruggerla, per “onorabilmente” sposare una donna che non ama e che gli darà tanti figli.
di Fabrizio Fogliato ©
[1] Ecco perché la sequenza dell’affatturazione di Purif si conclude con l’uomo che, giunto a casa della futura moglie, così si rivolge alla futura suocera: “Per quanto riguarda la cerimonia è deciso, si farà con l’onore e la scorta di tutti. Così come deve essere fatto. I conti li ho fatti tutti e non devo niente a nessuno, né a Dio né agli uomini”, ma l’anziana donna lo ammonisce severamente: “A Dio sempre Antò. Siamo sempre in debito con lui”