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Fabrizio Fogliato

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FEMMES DE SADE di Alex De Renzy (1976)

Il carnevale infinito della società liberata

 

Il cinema di Alex De Renzy è un inno alla libertà. Il regista della west-coast costruisce film dopo film un mondo irreale, onirico, fantasmagorico, in cui tutto è possibile e in cui anche i lati più biechi e oscuri della natura umana diventano accettabili e giustificati. Definito a suo tempo dal New York Times come “Il Cecille B. De Mille dell’hardcore”, il regista di San Francisco, sin dal suo esordio affronta il lato perverso e “contronatura” della sessualità: in Animal Lover (id., 1971) attraverso uno pseudo-documentario delirante e irriverente cerca di dare spiegazione logica e “naturale” alla zoofilia, mentre il film che chiude il suo periodo più artistico e fecondo Long Jeanne Silver (id., 1977) ha come protagonista una bionda con una gamba amputata che usa il moncherino per regalare piacere sessuale ai suoi partners. Alex De Renzy, è un ottimo regista uno dei pochi nel genere in grado di sostenere con successo anche la regia di film “normali” (e non è casuale che nei suoi film l’hard abbia, in proporzione, sempre uno spazio ridotto rispetto alla narrazione), e uno dei pochi ad ottenere una recitazione misurata e credibile dai suoi performers. Aspetti questi che elevano il suo cinema, la cui cifra stilistica è quella del bizzarro spesa all’interno di una idea di società impossibile ma che prende forma e consistenza proprio grazie a quella “macchina dei sogni” che è il cinema. Nel suo cinema è negato il lato oscuro e problematico del sesso (in questo è l’esatto contraltare di Gerard Damiano), ma è presente solo una visione libertaria, ridanciana e carnevalesca dell’accoppiamento corporeo in ogni forma e declinazione indipendentemente dal genere e dalla quantità, e ogni violazione di questa regola deve essere sanzionata. Nel programmatico Femmes de Sade, le violenze perpetrate dal villain di turno vengono irrimediabilmente punite dalla società stessa in cui egli si è introdotto come un corpo estraneo violandone le regole e profanandone la “sacra” libertà, mediante un rito/orgia collettivo che si conclude con deiezioni di gruppo sul corpo del malcapitato lasciato a terra esanime e ricoperto di escrementi mentre una società colorata, multiforme e godereccia si allontana da lui facendo il trenino e cantando beffardamente “Bye Bye Rocky”.

REVOLUTIONARY ROAD di Sam Mendes (2008) – Parte Terza

Una famiglia… allo specchio…

 

Revolutionary Road è un film ben scritto anche per l’attenzione posta nei dettagli, come dimostra in questo caso il fatto che April non si accorga che Elen le dice “Sembravate” utilizzando un verbo di pura apparenza e pertanto nascondendo alla giovane donna la cruda verità: nella vita dei Wheeler e nel loro modo di fare non c’è niente di speciale, ma solo il più apatico conformismo. Non a caso i loro amici Milly e Shep si rendono subito conto di quanto sia ridicola la volontà di trasferirsi a Parigi. Anche loro evitano accuratamente di dirglielo, sottolineando con malcelato perbenismo, quanto siano contenti di questa scelta. Anche Milly e Shep non sono esenti dalla paura della solitudine e dell’abbandono, la loro prima preoccupazione è quella di perdere gli amici di sempre. Ma nella relazione di questa coppia c’ è un punto decisamente sconvolgente: il fatto che loro due e i figli siano già entità singole e separate. Non a caso i figli sono come “ipnotizzati” davanti alla televisione e non ascoltano neanche i richiami del padre, e la stessa Milly, prima di andare a letto scoppia in lacrime quando Shep le fa presente di quanto sia stupida la scelta di andare a Parigi. Nella fragilità di Milly c’è tutta la fragilità della donna degli anni ’50, supinamente appiattita sulle posizioni e sulle idee del marito, al punto che trovare da parte di Milly una comunione di idee sulla assurdità della scelta di Frank ed April, risulta per lei momento essenziale (al punto di commuoversi) della sua relazione con il marito.

REVOLUTIONARY ROAD di Sam Mendes (2008) – Parte Seconda

La lunga estate calda

 

In Revolutionary Road la destrutturazione familiare ha come apice il momento dell’aborto prima e della morte poi, ma in realtà è già in atto sin dal prologo, attraverso quel violentissimo dialogo sotto la luce flebile di un lampione, in cui Frank e April si rinfacciano addirittura delle mancanze e degli errori legati al loro genere di appartenenza: uomo e donna. Il problema viene quindi, accantonato prima, dilazionato poi e infine esplode in tutta al sua forza attraverso ( e questo è un vero colpo d’ “autore”) il monologo finale del malato di mente, John, il quale con semplicità e immediatezza traccia un quadretto senza speranza, sincero e sofferente di cosa sono (sempre stati) April e Frank e la loro “apparente” felicità familiare. Per descrivere questo momento cruciale Sam Mendes ricorre alla sua immagine iconica, quella con la famiglia seduta a tavola, perfettamente e simmetricamente inquadrata in campo medio con la macchina da presa fissa, ma questa volta la fissità del quadro mostra anche, in maniera netta incontrovertibile, la fissità dell’assenza di sentimenti, dell’aridità che abita in marito e moglie e della loro nevrosi troppo a lungo repressa. Il film di Mendes, concentra nel periodo estivo la fase montante della crisi.

REVOLUTIONARY ROAD di Sam Mendes (2008) – Parte Prima

Padre Nostro che sei nei cieli… dacci il nostro inferno quotidiano…

 

“Ho scelto quel titolo per suggerire come la strada intrapresa nel 1776 sia diventata col passare degli anni un vicolo cieco” (Richard Yates)

Sam Mendes firma la sua opera migliore con una regia misurata, tutta basata sul principio di sottrazione, meticolosa e puntuale nel sottolineare le crepe di una famiglia, una società e una nazione. Asseconda la meravigliosa sceneggiatura di Justin Haythe e traduce sullo schermo tutto l’impatto emotivo del romanzo di Richard Yates, con un rigore fino ad ora sconosciutogli, e costruisce una struttura narrativa scevra da ipocrisie, furberie e velleità. Attraverso Revolutionary Road, con il contributo determinate di Leonardo Di Caprio e Kate Winslet (nuovamente sul set insieme ad 11 anni di distanza dal Titanic), Sam Mendes mette in scene un racconto amaro e lancinante sul crollo delle illusioni. Sviscera il complesso emotivo-“rivoluzionario” degli anni ’50, ne mette in mostra una visione cruda e reale, ne esalta le contraddizioni, le ipocrisie e lo spaesamento post-bellico, ne denuncia il materialismo, il conformismo e la solitudine degli individui. Come il romanzo, anche il film manda in pezzi l’American dream attraverso una visione del futuro infantile e utopica, legata ad egoismi individuali, frutto più di frustrazione quotidiana che di desiderio di cambiamento. I personaggi di Revolutionary Road non sono bidimensionali (per la prima volta in Mendes): sono uomini e donne complessi, psicologicamente instabili, umani nelle loro sofferenze e nella loro rabbia repressa; perdenti consapevoli della disfatta imminente, anarcoidi sui generis legati ad un conformismo di convenienza e opportunità, ipocriti nel mostrarsi e bugiardi nel relazionarsi con gli altri (e tra loro).

BELLA DI GIORNO, MOGLIE DI NOTTE di Nello Rossati (1971)

Venere Privata

 

Tre colpi di pistola, un uomo crolla a terra morente. Stacco sul contro-campo dove una donna tiene in mano una pistola fumante. Siamo in una galleria d’arte moderna (che richiama quella de L’uccello dalle piume di cristallo) dove dentro regna il silenzio, mentre fuori si sente un gran vociare di curiosi. Stacco, interno di un commissariato, stacco. Fine. Il montaggio aritmico (molto nouvelle vague, infatti siamo nel 1971) che caratterizza tutta la pellicola di Rossati rende al meglio l’impulso della narrazione e costringe il film alla sintesi. La vicenda di Paola (un aderente Eva Czmerys) che diventa prostituta per (troppo) amore, è un dramma esistenziale da camera, che eleva il film verso quel cinema-medio capace di utilizzare il genere in maniera ambiziosa e matura. Nella storia di una coppia di giovani rampanti, tesi a voler vivere sempre sopra alle proprie possibilità, si può leggere in filigrana, non solo l’idea di una società che sta cambiando (dopo il ’68), ma anche le miserie di una borghesia destinata negli anni futuri ad implodere sotto il peso della propria ipocrisia e delle proprie inadeguatezze. Se lo svolgersi a flashback rende lineare la vicenda di una donna che ha bisogno di soldi, che trova sulla propria strada una ruffiana scaltra e senza scrupoli, e che infine si pente delle proprie scelte, è interessante notare come questa donna in realtà non compia alcuna scelta, ma semplicemente incarni, implicitamente, il volere di un marito “in carriera”.

ABEL FERRARA. UN FILMAKER A PASSEGGIO TRA I GENERI su POINTBLANK.IT

Recensione a cura di Giorgio Sedona – 22 Gennaio 2015

 

Tratteggiare il profilo di un regista così controverso ed espressivamente potente come Abel Ferrara in poche righe è impresa ardua e rischiosa. Un artista che con la sua personalissima visione del mondo è riuscito a concederci dei lavori d’intensa maestria e profondità. Acuto misuratore dell’animo umano, diviso tra il Bene ed il Male assoluti, tra la santità ed il peccato, tra la luce del giorno e la notte della strada, con il suo stile umorale, sgangherato ma pur sempre originale ha percorso, trasversalmente, quarant’anni di cinema americano.Fabrizio Fogliato con la sua monografia dal titolo Abel Ferrara – Un filmaker a passeggio tra i generi, edito da Sovera Edizioni, ripercorre la strada artistica del regista del Bronx partendo dal principio, dal cortometraggio Nicky’s Film (1971), che segnerà l’inizio della collaborazione con lo sceneggiatore Nicholas St. John – collaborazione che continuerà per molti altri film del regista – e terminando con il film 4:44 – Last Day on Earth (2011). L’autore ci accompagna nel percorso monografico in maniera attenta e puntuale, non tralasciando assolutamente nulla, conscio del fatto che Abel Ferrara è tanto materiale d’indagine, è un artista visivo poliforme che dimostra la sua visione del mondo non solo ad un livello puramente cinematografico, ma anche realizzando videoclip, cortometraggi, puntate seriali, autore di progetti poi non concretizzati; e per capire appieno Ferrara occorre conoscere anche cosa non è riuscito poi a realizzare, quelle opere in potenza di un regista maledetto.

LEGGI L’INTERA RECENSIONE

 

IL QUINTO ELEMENTO: IL CINEMA DI FOLCO QUILICI

Il bambino e la natura

 

Folco Quilici è colui che è senza dubbio il più grande e conosciuto documentarista italiano; anche se questa definizione è limitante per un “viaggiatore” eclettico come il regista ferrarese. Un uomo che ha lavorato per il cinema e per la televisione, autore di saggi e biografie, e che ha ricoperto numerosi incarichi di responsabilità in ambito culturale. Quello che segue è un ritratto attraverso tre opere differenti (di cui una ripudiata), che diventano sintesi di uno “stile di vita”, in cui il cinema è materia prima da plasmare assecondando la naturalezza delle immagini da un lato, e modificando il punto di vista del regista dall’altro. I suo film dedicati al rapporto dell’essere umano con la natura sono molteplici e in taluni casi hanno ricevuto i giusti riconoscimenti internazionali: Sesto Continente (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954), Ultimo Paradiso (Orso d’Argento al Festival di Berlino del 1956), Ti-koyo e il suo pescecane (Premio Unesco per la Cultura del 1961), Fratello Mare (Primo Premio al Festival Internazionale del Cinema Marino, Cartaghena, 1974). La lettura dell’universo di Folco Quilici, appare dunque poliedrica e sfaccettata, connaturata all’essenza di “essere viaggiatore”, in cui la macchina da presa, diventa protesi per riprendere, con discrezione e rispetto, quasi con timore, la natura e le sue bellezze. Al centro del suo fare cinema è sempre presente una forma di “disagio” latente di fronte alla magnificenza dello spettacolo naturale.

PAOLO CAVARA. GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO a Cinemarcord

Sabato 24 Gennaio 2015 – Milano – ore 18

Presentazione del libro Paolo Cavara. Gli occhi che raccontano il mondo a Cinemarcord

Da questo assunto nasce l’idea di organizzare “CINEMARCORD”, LA PRIMA MOSTRA-MERCATO del COLLEZIONISMO e DELL’EDITORIA CINEMATOGRAFICA.

Grazie alla sinergia tra due solide realtà milanesi dedicate alla valorizzazione e alla riscoperta del cinema e dei suoi feticci (FERMOIMMAGINE, MUSEO DEL MANIFESTO CINEMATOGRAFICO e BLOODBUSTER, negozio e casa editrice specializzata in cinema di genere) collezionisti e appassionati del grande schermo avranno la possibilità di incontrarsi in una convention dove saranno presenti importanti operatori del settore.

Nella vasta sala espositiva del FERMOIMMAGINE troverano ospitalità numerosi stand con libri, colonne sonore, manifesti, action figure e memorabilia di ogni tipo; mentre nella sala incontri, nella stessa sede, si svolgeranno una serie di eventi con editori specializzati, critici cinematografici, attori e registi, associazioni e scuole di cinema, ecc. CINEMARCORD, infatti, vuole dare spazio anche a quei piccoli editori specializzati in cinema o che hanno un nutrito catalogo di opere dedicate alla Settima Arte

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