Autore

Fabrizio Fogliato

Browsing

EXHIBITION di Jean-François Davy (1975)

Confessione di una donna…

 

Nel 1975 si svolge a Parigi la prima (e unica) edizione del Festival del Cinema Pornografico, in cui Claudine Beccarie viene incoronata come miglior attrice per le sue performance in Penetration di Lasse Braun (Alberto Ferro) e soprattutto Exhibition di Jean-François Davy. L’attrice, rappresenta per il cinema hard francese, ciò che Linda Lovelace è stata per quello statunitense, diventando autentica musa di un gruppo di autori non allineati racchiusi dentro una sorta di manifesto ideologico post-Nouvelle Vague e denominati “Les Pornocrates”. Claudine Beccarie è nata il 19 Giugno 1945 a Cretti, una piccola località transalpina. Nonostante sia stata negli anni ’70 la diva indiscussa del cinema hard-core francese, le notizie sulla sua vita sono scarse e contraddittorie. Si vocifera che prima di entrare nel mondo del cinema, facesse la prostituta a Marsiglia, e che più tardi gestisse un pub a Grenoble in cui si esibiva come entreneuse. Nonostante sia stata pubblicamente chiacchierata, per essere stata colei che per prima ha travalicato le barriere del soft-core in stile Emmanuelle (1974) di Just Jaeckin, e per alcune sue dichiarazioni scandalose, l’autoritratto che di lei esce da Exhibition, contraddice in gran parte quanto su di lei detto in precedenza. La donna è stata ballerina, modella fotografica, prima di diventare attrice (la Beccarie sostiene di aver preso parte durante il suo periodo spagnolo ad una serie di film comici di cui però non si ha traccia), e una volta tornata in Francia è diventata la musa ispiratrice di quel milieu cultural-cinematografico formatosi dopo la stagione della Nouvelle Vague. Jean-Marie Pallardy, Alain Payet, José Benazeraf e Jean-François Davy, intraprendono un percorso di sperimentazione attraverso il cinema pornografico in cui intravedono enormi potenzialità innovative legate sia all’aspetto narrativo che a quello filmico.

PAOLO CAVARA.GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO su CLOSE-UP.IT

Recensione a cura di Filippo Baracchi – 3 Gennaio 2015

Paolo Cavara, un autore nascosto. Bolognese, ecologista, antropologo, sempre alla ricerca di personaggi non convenzionali, particolarmente attento verso i perdenti, i sentimenti, i rapporti umani. I suoi occhi, abituati ad avventurarsi ed esplorare posti lontani, fin dai primi lavori, hanno raccontato il mondo attraverso quel genere nato negli anni Sessanta, il mondo movie(Mondo Cane, La donna nel mondo, Mondo Cane 2). Capace di sintetizzare finzione e documentario, bellezza e grandiosità della Natura, è stato sempre attento alle differenze e al dettaglio, che nelle sue opere ha elevato a simbolo, espressione peculiare della sua creazione artistica. Profondo conoscitore della modernità, e profondamente critico verso questa, ha intuito per primo la degenerazione socio-culturale italiana traducendola in immagini dal forte impatto visivo (il vecchio editore Rizzoli “si commosse” alla visione di un suo corto girato alla Rinascente di Roma).

Leggi la recensione integrale

DOMINION: PREQUEL TO THE EXORCIST di Paul Schrader (2004) – Seconda parte

Io sono la perfezione!

 

Dominion: prequel to the exorcist è costruito attorno alla dicotomia tra alto e basso, e nel confronto opponente tra spiritualità e paganesimo: cristiani e turkana, chiesa e tempio, San Michele e il diavolo, il tutto sintetizzato nella statua anteposta alla chiesa in cui San Michele schiaccia un diavolo reale condannandolo all’inferno. Proprio l’ubicazione fisica della chiesa dissepolta, costruita su un tempio pagano, dedicato a un demone a cui venivano offerti sacrifici umani, proviene dal racconto dell’apocalisse di San Giovanni in cui si narra della battaglia degli angeli (anche illustrata negli affreschi e nei mosaici interni alla chiesa) e che costituisce, l’impalcatura religiosa del film, fissata nei due estremi opponenti entrambi di natura umana e “divina”, San Michele/Padre Merrin e Satana/Cheche. “Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo è satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra, e con lui furono precipitati anche i suoi angeli”. (Ap. 12, 7-10). Il dualismo onnipresente nel film, si manifesta anche attraverso il rapporto tra Padre Francis e i Turkana. Quando, guidati da Chuma, l’esponente del Vaticano e Lankaster Merrin si dirigono verso il sito archeologico, essi assistono alla cattura di un animale necessario per un sacrificio. Interpellato da Padre Francis, Chuma afferma: “E’ un sacrificio, le persone lo fanno nella speranza che possa dare protezione. È una cosa necessaria”. (Il riferimento è all’imminente parto di Sebituana), ma Padre Francis ribatte: “La crudeltà non è una cosa necessaria”. Chuma stizzito chiede: “Pensi che siamo dei selvaggi?”, e il prete risponde: “Io credo che alcuni di voi sono brave persone…perse nella confusione”. Siamo nel 1947, ma le affermazioni di Padre Francis, per Schrader sono attuali tuttora. Il regista infatti, sembra voler denunciare l’ipocrisia e la monoliticità di un mondo cristiano incapace di comprendere le differenze.

DOMINION: PREQUEL TO THE EXORCIST di Paul Schrader (2004) – Prima parte

Il Male dell’uomo

 

Dominion: prequel to the exorcist (2004) è il film “cancellato” di Paul Schrader. Il film che la Warner Bros ha voluto interamente rifatto da Renny Harlin, per aumentare il tasso orrorifico e splatter e per adeguarlo all’immaginario del pubblico: quello secondo cui la posseduta è donna, bestemmia, vomita verde e disarticola il proprio corpo. In principio, il copione è affidato a Paul Schrader, regista calvinista e di acuta sensibilità religiosa, che ha guidato il film per un terzo del tragitto, ereditandolo da John Frankenheimer, tragicamente scomparso. Dopo accese discussioni con la produzione, in merito ai contenuti e al montaggio, protrattesi per un anno, il cineasta viene sollevato dall’incarico, la sceneggiatura di William Wisher e Caleb Carr, riscritta da Alexi Hawley e la regia affidata a Renny Harlin (Cliffhanger, Driven…). Exorcist: the beginning (questo il titolo del film di Harlin) viene realizzato in tempi record, con gran parte della stessa troupe, tra cui il direttore della fotografia Vittorio Storaro e con il medesimo protagonista, Stellan Skarsgard. Il film di Harlin incontra uno scarso interesse sia di critica che di pubblico, così la Morgan Creek Production concede (nuovamente) circa $ 35.000 a Paul Schrader per terminare la sua versione e garantisce alla Warner Bros la possibilità di rilasciare la versione di Schrader con il titolo Dominion: Prequel to the exorcist. Quello di Schrader è (quasi) un film fantasma (in Italia non se ne ha traccia, né di uscita nei cinema né in home-video, la versione tedesca in dvd è l’unica disponibile, ad ora, sul mercato europeo), diventato tale a causa della regia di un autore che non ha né voluto, né saputo, piegarsi ad esigenze commerciali, ma che ha affrontato il tema della possessione da credente e calvinista (quale egli è), cogliendo l’opportunità per riflettere tanto sul “libero arbitrio”, quanto sull’ambivalenza “laica” della natura umana, continuando la sua ricerca nel solco degli autori che l’hanno preceduto (con esiti alterni) a dirigere gli episodi della saga demoniaco-filosofica.

Analisi del 2014

I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2014 per questo blog.

Ecco un estratto:

La sala concerti del teatro dell’opera di Sydney contiene 2.700 spettatori. Questo blog è stato visitato circa 18.000 volte in 2014. Se fosse un concerto al teatro dell’opera di Sydney, servirebbero circa 7 spettacoli con tutto esaurito per permettere a così tante persone di vederlo.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.

BUG di WILLIAM FRIEDKIN (2006)

Lo sguardo onnipotente dell’incertezza

 

Presentato a Cannes ’59, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, Bug di William Friedkin, è un lungometraggio livido e per nulla conciliatorio, che innesta un vortice delirante di paranoia patologica che trascina con sé persone, ambienti e psiche, impedendo di rintracciare coordinate chiare e percepibili, e facendo, ancora una volta, dell’ambiguità, l’unica chiave di lettura possibile. Un film che si confronta con l’orrore e la deviazione che possono insinuarsi in menti umane isolate dal mondo (nel film non compare alcun segno della tecnologia corrente; niente cellulari, solo un vecchio telefono di bachelite che squilla in continuazione) e costrette ad una condizione di vita disagiata. Bug è interamente circoscritto intorno all’unità di luogo, la stanza del Rustic Motel in Oklahoma; scelta che permette al regista di lasciare intatto fino alla fine l’interrogativo se le visioni (?) dei protagonisti siano vere o il risultato di manie di persecuzione, ma anche di innestare un discorso “politico” più ampio, riempiendo i dialoghi di riferimenti alla storia americana (recente e non), compreso il fuoco amico del “terrorista” che viene dall’interno (come gli insetti). Non appare casuale la citazione di Tim Mc Veigh, nel monologo di Agnes che anticipa la chiusura del film e che riassume in un delirio scoordinato e psicotico il percorso che hanno condotto lei e Peter fino a quel punto. Timothy James McVeigh è infatti, l’autore dell’ attentato di Oklahoma City del 19 aprile 1995, in cui rimasero uccise 168 persone, in quello che è stato il più sanguinoso atto terroristico perpetrato nel territorio degli Stati Uniti fino all’11 settembre 2001. Il nemico è dentro di noi (visibile o invisibile non ha importanza), questo sembra dirci William Friedkin con Bug, che non a caso reinterpreta e aggiorna attraverso la piece teatrale di Tracy Letts (che scrive anche la sceneggiatura del film), l’episodio da lui diretto per la serie “Ai confini della realtà”, nel 1983, sostituendo le sperimentazioni chimiche del diserbante Orange ed il gas psichedelico BZ, utilizzati dall’esercito durante la guerra del Vietnam con presunte sperimentazioni condotte sui soldati statunitensi durante la Prima Guerra del golfo.

SCORE (1972) di Radley Metzger

La casa dei giochi: gli anni’70 e l’ultimo valzer del fantasma della libertà

 

Score diretto da Radley Metzger nel 1972 è stato uno dei primi film ad esplorare le relazioni bisessuali. Il film è basato su una piece Off-Broadway andata in scena per 23 spettacoli consecutivi al Teatro Martinica a New York, dal 28 ottobre fino al 15 Novembre 1971 e in cui c’è da notare la presenza di un giovane e sconosciuto Sylvester Stallone nel ruolo secondario di Mike l’operaio dell’azienda telefonica. La versione teatrale di Score è stata scritta da Jerry Douglas, che in seguito è diventato sceneggiatore per il cinema (è autore della versione cinematografica di Metzger) ed è ambientata in uno squallido caseggiato del Queens, mentre il film ha come ambientazione una “mitica terra” della libertà e dell’opulenza. Score, il film, è stato realizzato in Europa con un budget relativamente alto per un film indipendente di quel periodo, e la maggior parte delle scene sono state girate a Bakar, in Croazia, un villaggio con un piccolo porto situato a circa 15 km da Fiume, a sud di Zagabria nella regione del Quarnero. Le riprese, inizialmente previste per una durata di quattro settimane, si sono poi allungate fino a nove, e Score è l’unico film del regista in cui egli è stato anche operatore alla macchina. La dilatazione dei tempi di ripresa, oltre alle dimensioni ridotte della troupe, pare dovuta anche al fatto che le scene degli interni della casa di proprietà della coppia scambista, appartengono in realtà a tre case diverse perché la casa scelta come location era stata affittata da un funzionario del governo jugoslavo che, continuamente, invitava la troupe ad allontanarsi e le riprese vennero effettuate solo in assenza dell’inquilino.

PAOLO CAVARA – RICORDO DI UN PADRE

A cura di Rita Cavallari – 24 Novembre 2014

 

Il 20 novembre alla biblioteca Villa Leopardi è stato presentato il libro di Pietro Cavara “Ricordo di un padre. Paolo Cavara, regista gentiluomo”. A seguire è stato proiettato il film I malamondo di cui Paolo Cavara ha effettuato la regia.
Doppia presentazione dunque. Da una parte il libro scritto dal figlio del regista che rievoca la figura di Paolo Cavara sotto il duplice aspetto di uomo di cinema e di padre. Dall’altra la materia viva del film, che oggi parla direttamente allo spettatore consegnandogli le immagini che il regista ha girato cinquanta anni fa. Perchè I malamondo è uscito sugli schermi nel 1964, esattamente mezzo secolo fa e ha un tema di scottante attualità: la crisi dei giovani.
Il regista Cavara conosce in questo momento una nuova attenzione. Oltre al libro di Pietro sono da poco usciti altri due libri su di lui: il saggio di Fabrizio Fogliato intitolato Paolo Cavara. Gli occhi che raccontano il mondo e un volume di Bompiani intitolato L’occhio selvaggio. E’ stato poi restaurato il film L’occhio selvaggio, uno dei più importanti di questo regista, ed è stato presentato, in questa nuova veste restaurata, al festival di Roma.

INGRID SULLA STRADA (1973) di Brunello Rondi

Roma: l’altra faccia della “dolce vita”

 

Film per lungo tempo irreperibile (da pochi giorni disponibile in DVD), uscito in poche copie nel 1973, e subito dopo scomparso nell’anonimato più totale, Ingrid sulla strada è un’opera obliqua e debordante, in cui il regista ricostruisce un ritratto isterico e crudele di una città, Roma, ormai divenuta una macabra barzelletta. Roma è il centro dell’azione, e viene mostrata in maniera antitetica rispetto ai film precedenti: un frastuono di voci e di rumori affestellati senza soluzione di continuità in una metropoli caotica e piovosa, sempre sull’orlo del tracollo, da cui è scomparsa ogni immagine turistica e ogni bellezza antica per lasciare il posto ai prati sterrati e alle strade sbrecciate che corrono sotto il raccordo anulare. Brunello Rondi, con Ingrid sulla strada è come se avesse voluto raccontare La Dolce Vita di Fellini da un punto di vista diametralmente opposto rispetto a quello originale. In Ingrid sulla strada appare evidente il contributo determinante di Rondi alla stesura della sceneggiatura dell’opera di Fellini (non, come semplice collaboratore, come appare nei credits del film), al punto tale che è possibile leggere questo film come il ribaltamento (o il negativo), estremo, eccessivo, e bizzarro de La Dolce Vita. Lettura che appare ancor più pregnante se si prende in considerazione il monologo del principe Urbano sulla condizione di Roma, e che appare recitato per interposta persona ma sembra esprimere l’opinione di Brunello Rondi: “E’ vecchia, come questa città che è diventata una cloaca sempre più umida e fa perdere la voce, infatti, non parlo più… non parlo più con nessuno, non ho più amici; se mi scrivono delle lettere non rispondo, non rispondo nemmeno più al telefono. Ci sono più fantasmi che uomini in questa città. Si certo, Roma è piena di luce, ma anche un cimitero di notte lo è, ed è pieno di strane fiammelle. Ecco, la donna, forse… soltanto la donna potrebbe essere l’unica cosa viva, ma è così difficile trovarne una. È una città piena di niente…”.