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Italia: ultimo atto – Il progetto

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IL PREFETTO DI FERRO (1977) di Pasquale Squitieri

Una guerra combattuta in prima persona in rappresentanza dello stato di diritto: un western duro, freddo e dal taglio futurista.

Girato con taglio americano, impregnato di umori nostrani, Il Prefetto di ferro, diretto da Pasquale Squitieri nel 1977 è un rarissimo esempio di film italiano con protagonista un eroe positivo. Cesare Mori, è un italiano tutto d’un pezzo, un uomo saggio e tenace pervaso da una profonda etica e da un senso morale legato all’essere un dipendente dello Stato. In sintesi, un uomo di Stato capace di interpretare e divulgare al meglio il rispetto della legge. Il Prefetto di ferro è un film in grado di colpire l’immaginario collettivo, allora come oggi, proprio grazie ad una messa in scena asciutta e raffinata costruita per lasciare ampio spazio alle gesta e al pensiero di Cesare Mori. Un film “americano”, che piace agli americani, al punto da essere invitato per una proiezione privata alla Casa Bianca, come racconta lo stesso Pasquale Squitieri:

Il film sbarca negli Stati Uniti per la Settimana del cinema italiano a New York. Tornato in albergo Claudia, Giuliano ed io, troviamo due funzionari della C.I.A. che ci dicono che il film Iron Prefect (Il Prefetto di ferro) è stato invitato dal Presidente Carter per una proiezione alla Casa Bianca (…) Noi rimaniamo sbalorditi da questa cosa, ma tutto va come previsto dai due funzionari e io mi porto dietro una cinepresa perchè dico: “Chi ci        crederà mai?”. Ci portano nella stanza del caminetto, dove ci mettiamo seduti, abbastanza           intimiditi, Claudia, Giuliano ed io e dopo un po’ arrivano Elizabeth Taylor, Gregory Peck, …insomma mezza Hollywood. Arriva il Presidente Jimmy Carter, me lo presentano, andiamo in proiezione. Proiettano il film, applausi e poi la cena. Poi andai a parlare col Presidente con quel poco di inglese che mastico, e ringraziandolo gli chiesi perchè mi aveva       invitato. Lui mi rispose che per la prima volta ha visto un italiano tutto d’un pezzo, un italiano di profonda onestà (…). inutile dire che di questo evento, che non si è mai più ripetuto, uscirono tre righe sul Corriere della Sera…” [Silvia D’Amico Benedicò, Gioia Magrini, Roberto Meddi, A proposito di …, Intervista a Pasquale Squitieri in Extra DVD Il Prefetto di ferro, Medusa, Milano, 2009]
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BLUE NUDE (1977) di Luigi Scattini

Il sesso, la sua manifestazione più brutale (cioè la pornografia), e il coinvolgimento emotivo diretto destabilizzano le convinzioni di un uomo capace di ragionare solo ed esclusivamente in base ai suoi sogni

Quando Luigi Scattini, parte per l’America per girare quello che sarà il suo ultimo film da regista, Blue nude, il cinema hard in Italia cominciava a fare il suo ingresso e, proprio il 15 novembre 1977, una sala cinematografica di Milano, il Majestic, espone fuori dalla porta d’ingresso del locale una lampada con la luce rossa intermittente per segnalare il cambio di programmazione, aprendo, così, la strada alla proiezione di film “a luce rossa” (appunto) in tutta la penisola. Sono anni, questi, in cui il film hard circola clandestinamente in qualche cineclub (soprattutto Exhibition (1975) di Jean-François Davy con la star d’oltralpe Claudine Beccarie), alcuni amatori ne fanno richiesta via posta per ricevere carissimi loops in super-8 (provenienti dal Nord Europa della Danimarca e della Svezia) e dove riviste come “Le Ore e “Man” propongono le prime immagini di sesso esplicito su carta stampata.

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Aristide Massaccesi (Joe D’Amato) emigra nei caraibi e gira film con doppie versioni (soft e hard) per il mercato interno e quello estero prima di girare il pacchetto – di quattro film caraibici (a Santo Domingo) esplicitamente pornografici – che alla fine del decennio darà il via alla produzione dell’hard nostrano. Franco Lo Cascio si inventa distributore e comincia ad importare dall’estero pellicole a tripla “X” da distribuire in Italia in maniera clandestina e attraverso mille ostacoli e divieti. Resta il fatto che tutto questo riguarda una piccola nicchia di pubblico, mentre per la massa l’hard rimane qualcosa di misterioso e “leggendario”, legato ai racconti di quei pochi “fortunati” che hanno fatto viaggi nel Nord Europa o degli emigranti di ritorno dagli Stati Uniti. Ecco, quindi, che Blue nude di Luigi Scattini, oltre a spalancare le porte della produzione hard allo spettatore del tempo, diviene il primo film italiano ad affrontare l’argomento nonché un vero e proprio anticipatore di film come Hardcore (1979) di Paul Schrader.

LOS AMIGOS (1972) di Paolo Cavara

L’amicizia virile, l’eroismo silenzioso e l’avventura picaresca. Lo “spaghetti western” secondo Paolo Cavara

Uscito sugli schermi italiani il 29 Marzo 1973 (quindi nel periodo di estinzione del genere) Los Amigos si presenta come un western atipico, frutto di quella contaminazione crepuscolare divisa tra violenza e comicità. Originariamente, il film è destinato ad essere un’opera seria e puntuale sulle gesta del vero Erastus “Deaf” Smith – un personaggio di primo piano nella rivoluzione del Texas avvenuta a cavallo del 1830. Le esigenze della produzione appaiono per. Contrarie alla realizzazione di un prodotto serio (e quindi economicamente rischioso) nel momento in cui il crinale intrapreso dal genere poggia prevalentemente su caratteri comico-picareschi e, così, l’intero impianto narrativo viene via via destrutturato fino alla forma attuale che si regge prevalentemente sul rapporto tra compari: un eroe e la sua spalla. Nonostante queste defezioni strutturali il film – ufficialmente firmato alla sceneggiatura da Oscar Saul e Harry Essex – in realtà fruisce dei contributi (non accreditati) di Augusto Finocchi, Lucia Drudi Demby e dello stesso Paolo Cavara.

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“E’ una storia popolare. La storia di un’amicizia. L’amicizia è un tema che mi ha sempre interessato. E’ il modo in cui tentiamo di uscire dalla solitudine. E nel caso di questo film ha come sfondo proprio una condizione di solitudine tremenda. Il personaggio centrale, ispirato ad un personaggio storico eroe della guerra del Messico, Deaf Smith, è sordomuto dalla nascita, cioè condannato ad una solitudine tragica, il silenzio a vita. Forse per questo è diventato eroe, per esprimersi potentemente in una dimensione di oltranza, come nell’impresa raccontata dal film: tentativo quasi disperato di impedire un putsch nazionalistico nel Texas. L’impresa è l’occasione di mettere alla prova l’amicizia. Ears, il giovane compagno di Deaf, crede di essergli indispensabile. In realtà è affascinato da lui, tanto da quanto riceve. Si ha sempre bisogno di chi ha bisogno di noi, voglio dire. L’amicizia è una solidarietà nella lotta, nell’esistenza. Fino a che punto resiste? Fino a che punto riesce a non diventare una strumentalizzazione e una prevaricazione? Sono interrogativi che cerco di porre perchè per me fanno parte di un discorso più largo, il rapporto fra l’uomo e la società” (Paolo Cavara)

I PROSSENETI (1976) di Brunello Rondi

Un funerale collettivo, in cui tutti sono colpevoli…e nessuno è colpevole.

Prosseneta: Voce colta di origine greca; prosseneta significava in origine “aiutatore degli ospiti”, consigliere, guida, intermediario (nell’antica Grecia il pròsseno era il cittadino incaricato della protezione degli stranieri), mentre oggi sta per ruffiano e mezzano. I prosseneti, uscito nelle sale il 28 Aprile 1976 visibile oggi, solo grazie al passaggio in TV della durata di 90′ 32” (ma registrato in visto censura come 105′), è il decimo film da regista di Brunello Rondi: “Velleitario tentativo di denunciare la mercificazione di cui la donna è oggetto nella nostra società” (Centro Cattolico Cinematografico). Così il CCC liquidava questo film (centrando comunque appieno le intenzioni del regista) non tenendo in considerazione però che la denuncia della mercificazione del corpo femminile è solo una parte di quest’opera costruita narrativamente e figurativamente come una sorta di kemmerspiel esistenziale.

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L’unità di luogo, cioè la villa e lo spazio a bordo piscina in cui si svolgono gran parte delle azioni non potrebbero esistere se non attraverso l’astrazione di un non-luogo immaginario, in cui agiscono i vari personaggi. Il non-luogo prende forma attraverso le stanze della casa-teatro, raccontate come spazi scenici in cui ogni cliente replica (con tanto di maschere e scenografie) stati d’animo turbati e passaggi vitali colmi di rimpianto e mai riconciliati: in tutto ciò la donna assolve all’unico ruolo possibile (secondo la società dei consumi), quello di un essere taumaturgo in grado – con la sua sola presenza – di guarire, o meglio, temporaneamente alleviare le sofferenze di uomini psicolabili e insicuri. È la stessa contessa Gilda a dichiarare le intenzioni dell’agire suo e di suo marito: “Le nostre camere non devono più sembrare camere normali ma… teatri, quadri di illusione…”, così come più tardi sarà un cliente che, rivolto alla prostituta Odile, dirà: “E il mio teatrino…tu devi soltanto obbedire e basta”.

FEBBRE DI VIVERE (1953) di Claudio Gora

Fulminante ritratto di un’Italia egoista, miserevole, narcisa e senza speranza che sguazza e gode nell’amoralità.

Il dittico iniziale dell’opera registica di Claudio Gora (pseudonimo di Emilio Giordana) si presenta come asimmetrico e spiazzante rispetto ai modelli neorealistici dell’epoca: Il cielo è rosso (1950) tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Berto e Febbre di vivere (1953) liberamente ispirato al dramma “Cronaca” di Leopoldo Trieste raccontano, in modo quasi astratto e attraverso l’ossessione del riscatto a tutti i costi, storie archetipiche della società italiana del dopoguerra. Lo stile di Gora – che si manifesta nella sua pienezza solo nel dittico degli anni ’50 – è decisamente moderno per l’epoca visto che presenta tratti hitchcockiani, e opta per una costruzione filmica, diversa e bruciante, che alterna long-take narrative (e mai descrittive) a fulminanti primi e primissimi piani espressivi ed affettivi. Va inoltre sottolineato, nel merito, l’uso moderno dell’angolazione con immagini schiaccianti dall’alto ed esaltanti dal basso che hanno chiara matrice wellesiana e che – oltre a non essere mai fini a se stesse – mostrano una realtà perennemente incombente e minacciosa. Gora non è ottimista, mette in scena generazioni dissolute, incapaci di sentimenti, opportuniste e lubriche in cui ci sono padroni che, per i loro biechi interessi, sadicamente, manipolano e utilizzano servi ingenui e colpevoli (mai pienamente vittime). Il film esce “marchiato” con il divieto ai minori di 16 anni e presenta un finale vagamente conciliante con l’uomo e la donna che escono assieme dal commissariato, diverso rispetto all’ originale, cupo e disperato, con la donna che da sola si allontanava verso l’oscurità. In poco meno di un’ora e mezza, Febbre di vivere traccia il ritratto cronachistico della disillusione e dell’evanescenza di un frammento generazionale: lo fa con una misura e una furia inusuali e soprattutto mettendo in scena personaggi sgradevoli che si agitano in un sottobosco torbido e malsano.

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Massimo Fontana (Massimo Serato) è preoccupato per l’imminente uscita dal carcere del suo ex-socio Daniele Massa (Marcello Mastroianni). Massimo gestisce una sala corse e al momento vive una relazione piuttosto fragile con Elena (Anna Maria Ferrero) una giovane trasteverina. Le preoccupazioni di Massimo sono indirizzate nel cercare di capire che cosa sa Daniele del suo arresto di tre anni prima e quanto sa del suo diretto coinvolgimento. Mentre Daniele recatosi a casa dell’ex-socio cerca di mostrargli tutto il suo rancore e la sua voglia di rivalsa, Massimo, facendo leva sulla sua debolezza e sulla sua bontà, lo manipola nuovamente, lo coinvolge nel suo milieu di frequentazioni medio-borghesi e lo riavvicina a Lucia (Marina Berti), la quasi ex-fidanzata di Daniele di cui egli è ancora innamorato. Elena, scopertasi incinta confida tutto a Sandro (Sandro Milani), un amico di Massimo, il quale non tarda a venire a conoscenza della situazione, e mentre vive una nuova relazione con Lucia (che si è innamorata di lui), invita Elena ad abortire: questa dopo molte reticenze aspetta. Nel frattempo, trovatosi a corto di soldi, Massimo organizza una truffa durante una corsa di trotto a Villa Glori. Il piano fallisce e l’uomo si trova stretto tra la denuncia e il ritiro della licenza da una parte e dalle pressioni degli strozzini (a cui si è affidato per pagare i debiti) dall’altra. Massimo convince Sandro a farsi passare per il padre del figlio di Elena e a farsi dare da sua madre i soldi necessari perché la ragazza abortisca; Daniele viene a scoprire di essere finito in carcere a causa della denuncia dello stesso Massimo; Lucia cerca, inutilmente, di convincere Massimo a seguirla all’estero. Durante un discussione accesa e convulsa a casa di Massimo, vengono a galla tutte le verità e per impedire a Sandro di raccontare a Lucia la sua sull’aborto di Elena, Massimo lo colpisce con un pugno e lo uccide accidentalmente e per dargli l’apparenza di un incidente simula che il ragazzo ubriaco sia caduto dalla finestra: Lucia e Daniele assistono attoniti e impotenti di fronte all’agire dell’amico. Di fronte all’ennesima recita di Massimo all’obitorio Lucia decide di parlare e di denunciare se stessa e i due uomini. Massimo viene portato in carcere e Lucia e Daniele lasciati liberi dal commissario.

Presentazione Italia: Ultimo Atto – Como 06022016

IL FESTIVAL DEL CINEMA ITALIANO CELEBRA MASSIMO PIRRI

 

Il giorno Sabato 06 Febbraio 2016 alle ore 17.30 c/o IL CINEMA ASTRA di COMO ci sarà la presentazione del Libro “Italia: ultimo atto. L’altro cinema Italiano – da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri” di Fabrizio Fogliato.

Seguirà la proiezione-evento di “Italia: Ultimo atto?” (1977) di Massimo Pirri

Ferruccio (Luc Merenda), insegnante e caporeparto di un’officina; Bruno (Andrea Franchetti), delinquente comune convertitosi alla lotta politica armata; Mara (Marcella Michelangeli), di estrazione borghese, sono tre terroristi cui, nei piani della loro organizzazione spettava il compito di uccidere il ministro degli Interni. Giudicando però che nell’attuale situazione del nostro paese l’attentato farebbe il gioco della reazione, i capi decidono di differirlo. Trasgredendo ai loro ordini, Ferruccio e i suoi due compagni lo portano ugualmente a termine. Durante l’azione omicida di cui restano vittime, oltre al ministro, anche gli uomini della sua scorta, Bruno muore. Mentre nel paese, in preda al caos, si scatena la repressione, Ferruccio e Mara si rifugiano in un covo dell’organizzazione, dove finiscono per uccidersi a vicenda.

A seguire l’intero programma del festival e i link per contatti e prenotazioni

ITALIA: ULTIMO ATTO. L’ALTRO CINEMA ITALIANO – IL PROGETTO 2016

Una landing page, rassegne e altre pubblicazioni

A seguito del grande successo riscontrato dal primo volume e in attesa del secondo – in fase di lavorazione – ITALIA: ULTIMO ATTO diventa un progetto multimediale. Dai primi di Ottobre è attiva la landing page del volume Italia: ultimo Atto. L’altro cinema italiano, di Fabrizio Fogliato. La pagina è la base di un progetto multimediale – e in divenire – che a partire dal 2016 si attiverà con presentazioni, proiezioni, convegni e rassegne, il tuttoi ncentrato sul cinema italiano censurato, nascosto, rimosso e dimenticato.

Per saperne di più