JACOPETTI FILES
Biografia di un genere cinematografico italiano
di
Fabrizio Fogliato e Fabio Francione
(Mimesis Edizioni, 2016)
Conferenza stampa di presentazione del volume
di
Fabrizio Fogliato e Fabio Francione
(Mimesis Edizioni, 2016)
Conferenza stampa di presentazione del volume
Nel 1978 l’anti-stato del terrorismo (al pari di quello mafioso), si contrappone ad uno stato dove il potere è arginato e delimitato ad una cerchia di “eletti” e perennemente minacciato dal pericolo della delazione, poiché l’ipocrisia diventa norma e la ricattabilità degli individui costituisce l’equilibrio (precario ma fortissimo) su cui si regge tutto il sistema. Il potere diventa quindi quel “Quinto Stato” dove tutto è lecito ed ammesso in una relazione biunivoca di interscambio di favori, raccomandazioni e prebende. La corruzione si fa sistema e attraversa trasversalmente i vari ambiti della società, lambisce il Vaticano (il crack del Banco Ambrosiano) e intacca irreparabilmente la coscienza e l’agire degli Italiani. Il quadro esaustivo del “Belpaese” tracciato nel 1977 da Mario Monicelli con Un borghese piccolo piccolo, diventa un anno dopo limitato e moderato.
nucleo centrale e rivelatore del film che trasforma Milano rovente da film d’azione in dramma sociale, è contenuto nella scena della confessione di Salvatore Cangemi dopo l’amplesso consumato con Jasmine. Il lungo monologo appare esaustivo delle intenzioni dell’autore e spiega al meglio come, durante la fuga, Salvatore prima dica a Virginia (compaesana avviata alla prostituzione da un mezzano che si spaccia per cugino): “Prendi la bambina e tornatene al paese. Vai via da questa merda fin che sei in tempo” e poi, recatosi al capezzale della madre morente, si senta dire da lei: “No figlio, io non vedrò più il paese, ma tu si… Questa non è vita per te…”. E’ la madre a rivelare a Cangemi la sua natura e quindi la sua inadeguatezza, quella che egli stesso ha sempre voluto mettere a tacere nella speranza di riuscire, costi quel che costi, ad affermarsi e a farsi accettare nonostante il suo essere “terrone”.
QUESTO SPORCO MONDO MERAVIGLIOSO (1970) di Fabrizio Fogliato
Uscito nelle sale italiane il 21 Aprile 1971 il film – girato a quattro mani con Mino Loy – si rivela subito un clamoroso insuccesso. Neanche il divieto ai minori di 18 anni – all’epoca vero e proprio motivo di attrazione per il pubblico – riesce a convogliare nelle sale un numero di spettatori necessario per coprire le spese.
[…] La trasfigurazione del personaggio principale in archetipo (decisamente ambiguo – vista la sua natura soggettiva e autobiografica), la rarefazione dei dialoghi così come l’utilizzo del silenzio ne L’occhio selvaggio, fanno parte di una precisa “strategia dell’aggressione” che Paolo Cavara mette in scena senza né esitazioni né ripensamenti, ma anzi, spingendo l’azione e il suo protagonista oltre la soglia del dolore.
[…] Un’Italia scientemente e volutamente cancellata per essere sostituita da spazi oscuri dominati dai chiaroscuri e da linee geometriche di raggelante precisione. Budelli oscuri dall’architettura riquadrata e persi in una profondità senza fine su cui emergono i tre colori base virati in acido: giallo, ciano e magenta. I vetri diventano la prigione/acquario in cui sono sigillati l’uomo e la donna. Nella visione di Bolognini ci sono solo spazi che – anche per la forma e per il modo in cui sono inquadrati – rimandano a delle bare. Il tema della morte è dunque centrale, al punto da essere declinato sotto diverse forme. Morte come incomunicabilità: la morte della parola come strumento di ragionamento e di relazione. Non a caso la donna, per istruire l’uomo, ricorre alla visone del documentario sulla riproduzione dei bachi da seta, mentre l’uomo, che fa affidamento sulla parole per far prevalere la ragione sull’istinto, viene travolto e ucciso dall’auto guidata dalla donna (nel libro è invece obbligato ad impiccarsi). Morte come assenza: quella di luoghi di passaggio.
La testata radiofonica recensisce il libro “Luigi Scattini: inferno e paradiso” (a cura di) Fabrizio Fogliato.
a seguire puoi ascoltare il podcast
Definire cosa è stato il cinema italiano degli anni’70 è praticamente impossibile e probabilmente non ha neanche senso tentare di farlo. La già avventurosa storia del cinema italiano, in quel doppio lustro diventa “fantasmagorica” attraverso l’accumulo, pressochè infinito, di materiali eterogenei e disfunzionali attraverso i quali si costruiscono migliaia di film di ogni genere (alcuni addirittura inventandoli da zero), magari complessivi di un pugno di pellicole, dalla qualità discutibile, con l’unico fine immaginabile di soddisfare ogni esigenza (dalla più rara alla più turpe) di un pubblico “affamato” ma non stupido, pronto a spendere poche centinaia di lire per evadere, almeno per un paio d’ore, dagli anni di piombo. Inevitabile (come ho appena fatto) chiudersi in stereotipi e luoghi comuni per dare spiegazione plausibile a quel periodo storico-cinematografico, come è altrettanto inevitabile non soffermarsi sull’unico aspetto pervasivo e indistintamente comune a tutti i generi: il sesso.
In una riunione guidata da un certo Dottor Roberts (Isarco Ravaioli) che dovrebbe essere una specie di terapia di gruppo, alcuni uomini e alcune donne si presentano come persone che hanno “approfittato” della bella Mireille (Mirella Rossi) e spiegano le loro ragioni perverse, mediate dall’aiuto dello psichiatra che li guida all’interno dei comportamenti perversi e delle loro motivazioni, analizzando l’intera storia del genere umano, prima di portarli a scatenarsi in un’orgia furiosa che sa tanto di pena del contrappasso.
Questa nuova edizione del libro – che si pone a metà strada tra la divulgazione e lo studio accademico – presenta nuove interviste e testimonianze, la pubblicazione e l’analisi di soggetti inediti, uno studio critico e sfaccettato dell’opera più importante dell’autore (L’occhio selvaggio) che si vanno ad aggiungere ad un apparato fotografico ulteriormente integrato, ad una filmografia critica arricchita di nuovi documenti e alla trascrizione integrale dei trattamenti di Mondo cane e I malamondo.