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Saggi Critici

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FUNNY GAMES (1997) di Michael Haneke – Capitolo 5

The End: il loop che sancisce l’assoluta reversibilità dell’atto di morte

La tensione che lentamente si insinua nei due film agisce su di un set/architettura che è riproposizione del vivere quotidiano. I corridoi, le porte, gli stipiti attraverso cui osserviamo l’agire dei protagonisti sono passaggi virtuali in cui si muovono “mostri” annidati nell’ombra. L’utilizzo insistito del sonoro fuori campo anticipa tutta una serie di aspettative e condiziona inevitabilmente il desiderio di vedere ciò che è successo dall’altra parte. Questa dimensione angosciante e perturbante e data dalle barriere che dividono gli spazi che costituiscono un’interdizione tra sentito/mostrato e tra desiderio di conoscere la soluzione dell’atteso/inatteso. L’attrazione/repulsione che ne scaturisce è innescata dal sonoro mentre il mostrato resta ineluttabilmente fuori. Questo accade non solo per lo spettatore ma anche per i protagonisti che non vedono mai ciò che accade nell’altra stanza.

FUNNY GAMES (1997) di Michael Haneke – Capitolo 4

Fame chimica del post orgasmo: quando l’aggressione si trasforma in sadismo

Quello che colpisce è come in Kazan, la violenza sia animata non solo dalla repressione del risentimento ma anche da un inusuale, per dei militari, senso di invidia. Più volte i due fanno presente a Bill che: “Hai fatto i soldi”,oppure “Hai delle persone che fanno le cose per te” restituendo appieno il malessere, il disagio e la difficoltà di integrazione di cui furono vittime tutti i reduci del Vietnam. In entrambe le pellicole, l’aggressione si trasforma in sadismo. Questo registro estremo, che appare più accentuato in Funny Games, vive sul principio ambiguo e malsano secondo cui una volta accettato il dolore e viceversa quando questo viene perseguito, c’è sempre una tendenza al piacere. Il miraggio di un bene successivo è connaturato all’idea stessa del sadico (ma anche della vittima), che è consapevole che l’attraversamento del dolore è necessario per giungere al paradiso o all’orgasmo. Non è casuale quindi che The Visitors termini con uno stupro (plastica reiterazione di ciò che è avvenuto in Vietnam) e che Funny Games finisca con la morte della donna (nell’acqua) pronta per una ri-nascita spirituale.

FUNNY GAMES (1997) di Michael Haneke – Capitolo 3

La morte ha fatto l’uovo: à rebours, corrispondenze con il passato

Nel 1971 il regista americano Elia Kazan dirige un piccolo film con un cast fatto tutto di esordienti (tranne Patrick, McVey), con un budget risicato e una piccola troupe. Il film è The Visitors (I Visitatori) ed è girato in 16 mm con stile semi amatoriale, ed è imperniato su un piccolo nucleo di persone chiuso dentro uno spazio di una casa isolata immersa in un paesaggio innevato. Kazan – che ha 62 anni ed è al suo penultimo film – costruisce un kammerspieldrammatico che (quasi in diretta) inscena la falsa coscienza e la crisi del riflusso post-Vietnam. Il film è scritto dal figlio Chris Kazan e l’episodio che è alla base del soggetto ispirerà il successivo Casualities of War (Vittime di Guerra, 1989) di Brian De Palma.

Due soldati dell’esercito americano, il portoricano Antonio Rodriguez (Chico Martinez) e lo yankee Mike Nickerson (Steve Railsback), dopo avere scontato due anni di prigione, vengono rilasciati. I due hanno subito una condanna per stupro e il relativo omicidio di una ragazza avvenuto durante un’operazione di rastrellamento in Vietnam. Antonio e Mike vanno a trovare Bill Schmidt (James Woods allora esordiente), il commilitone che li aveva accusati e spediti di fronte alla corte marziale. Bill vive con la moglie Martha (Patricia Joyce) e il figlioletto Hal, in una grande casa di proprietà del padre di lei, lo scrittore western Harry Wayne (Patrick McVey). A poco a poco i rapporti si fanno tesi e lentamente affiorano violente tensioni represse che conducono a svolte tragiche e imprevedibili.

FUNNY GAMES (1997) di Michael Haneke – Capitolo 2

Perché quelle mani guantate di bianco come Mickey Mouse?

Peter e Paul entrano in scena educati e gentili, con un’aria rassicurante e con un atteggiamento quasi ingenuo. Sono vestiti di bianco, ordinati e puliti: si presentano alla porta di casa della famiglia Schober con modi raffinati e cortesi. Haneke introduce qui un altro elemento di distonia che stride fortemente con la situazione formale. Rolfi, il cane lupo degli Schober abbaia insistentemente e sbatte violentemente contro la zanzariera dietro cui si trovano Peter e Paul – che hanno le le mani guantate di bianco come Mickey Mouse – creando una tensione tanto assurda quanto reale. Il regista austriaco introduce i suoi due protagonisti attraverso le vesti dell’inganno consegnandoli da subito come l’incarnazione del Male. Secondo lo studioso dell’aggressività Friederich Hacker, l’inganno più efficace del Demonio è far credere che egli non esiste e, se esiste, è negli altri e non in noi stessi. Haneke prende alla lettera la teoria del medico tedesco e fa di Peter e Paul gli archetipi del Male assoluto, che in Funny Games agiscono secondo le loro regole: provocatoriamente in contrasto con quelle comunemente accettate dalla società. Il gioco segue un disordine logico secondo cui la violenza perpetrata dai due è inversamente proporzionale a quanto di tale violenza ci viene mostrato.

FUNNY GAMES (1997) di Michael Haneke – Capitolo 1

Giocare con il male: un sadismo ludico che vede come agenti provocatori due angeli sterminatori.

La signora von Dunajew potrà non solo punire a sua discrezione il proprio schiavo per ogni sua minima inavvertenza o colpa, ma avrà anche il diritto di maltrattarlo secondo il suo capriccio o per mero passatempo come più le piaccia, o addirittura di ucciderlo, se le aggrada; in breve, egli è sua proprietà assoluta.

(Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch)

Una famiglia tipo, composta dalla madre Anna (Susanne Lothar), dal Padre Georg (Ulrich Mühe) e dal figlio Georgi (Stefan Clapczynski), arriva nella casa di villeggiatura in riva al lago. La situazione di idillio familiare e ambientale viene turbata da due giovani misteriosi e sconosciuti che riescono ad entrare in casa presentandosi come educati e molto formali. Paul (Arno Frisch) e Peter (Frank Gering) gettano subito la maschera, ed i n seguito ad una banale discussione, aggrediscono violentemente e sistematicamente i membri della famiglia. La violenza non risparmia niente e nessuno e deliberatamente segue una escalation programmatica di sadismo gratuito. Peter e Paul propongono alla famiglia di partecipare ad una scommessa, come quelle televisive, i cui termini sono quelli di vita o di morte nelle successive 12 ore. Il gioco ha così inizio.

VELLUTO NERO (1976) di Brunello Rondi – Prima parte

Un confuso apologo, trasgressivo ed estremo sulla deriva iconoclasta di una società pre-globalizzata

Velluto neroè l’ultimo film da regista di Brunello Rondi – penultimo se si considera lo sceneggiato televisivo La Vocediretto a distanza di tre anni tra il 1981 e il 1982. Considerato dai più come un “suicidio d’autore”, Velluto nero, apparentemente, sembra inserirsi nel filone tutto italiano di Emanuelle Nerainiziato da Adalberto Albertini (con il film omonimo nel 1975 firmato come Albert Thomas) e proseguito sotto la regia di Aristide Massaccesi (alias Joe D’Amato), attraverso la costruzione di una serie di film finalizzati alla serializzazione delle avventure di questa disinibita eroina da fumetto. Come racconta Davide Pulici c’è un forte legame produttivo tra Velluto neroe il ciclo in questione: “All’indomani del grande successo di Emanuelle Neradi Bitto Albertini, due produzioni distinte, la Kristal di Franco Gaudenzi e la Rekord di Alfredo Bini, mettono in macchina contemporaneamente due film: Emanuelle Nera-Orient Reportage(che in un primo tempo dovrebbe intitolarsi Velluto nero) e Velluto nero(che nasce come Il gruppo), in entrambi i quali Laura Gemser interpreta un personaggio di nome Emanuelle[Al tropico del sesso-Nocturno Dossier n.35].

BAD LIEUTENANT (1992) di Abel Ferrara – Capitolo 7: La confessione della monaca. Mitopoiesi del Sacro nella scena inedita del film

Una chiesa centro del mondo; dove si intrecciano, a causa della violenza, le componenti dell’umano e del divino.

Gesù è morto per salvare l’umanità dai suoipeccati e dunqueè più che naturale che il tenente – ormai devastato fisicamente e psicologicamente – entri in chiesa e chieda perdono. Una chiesa dove sull’altare è stato versato lo sperma degli stupratori e il sangue virginale della suora, due sostanze dove si mescolano il sacro del divino e il profano dell’uomo. Una chiesa centro del mondo; dove si intrecciano, a causa della violenza, le componenti dell’umano e del divino e dentro la quale Cristo è presente pronto a ricevere gli insulti della disperazione umana e ad essere accusato di indifferenza dal tenente. Nell’abisso della disperazione Lt ritrova Dio, un Dio silenzioso che con il suo sguardo misericordioso e la sua sola presenza, in un istante ne riscatta l’intera vita, lo solleva nell’empireo della Grazia e lo conduce al perdono.

BAD LIEUTENANT (1992) di Abel Ferrara – Capitolo 6: L’imitazione di Cristo e la Via Crucis dolorosa e straziante

Eccessi e misticismo in un’elegia dissacrante tra i Vangeli, Robert Bresson e George Bataille

Si coniugano, dunque, da un lato l’ “imitazione di Cristo”  – secondo i dettami evangelici in cui si dice che chi vuole comprendere pienamente e vivere le parole di Cristo deve fare in modo che tutta la sua vita sia modellata su quella di Cristo – e, dall’altro, la profanazione messa in scena in Bad Lieutenant, con particolare riferimento allo stupro blasfemo della suora e alla deturpazione della Chiesa. Scelta che rimanda alla “Storia dell’occhio” di George Bataille in cui l’episodio dello stupro e della profanazione del corpo di Don Aminado (nel finale) assumono sia i crismi di una messa nera quanto quelli di un estasi mistica legata alla sessualità. Come questi due punti di partenza opposti possano trovare coesione e coerenza, attraverso la messa in scena dell’erotismo, nel film di Abel Ferrara, è spiegato dalle parole di Alberto Moravia poste a prefazione dell’edizione italiana del racconto di Bataille:

BAD LIEUTENANT (1992) di Abel Ferrara – Capitolo 5: Cassavetes vs Ferrara

Architettura di un corpo filmico e pornografia dell’anima

Sia per Ferrara che per Cassavetes, ciò che conta all’interno della macchina cinema è la tendenza a individuare una pulsione interna delle cose e degli esseri, cioè a mettere in scena percorsi esistenziali complessi e stratificati. In quest’ottica, per entrambi, sono egualmente importanti tanto i movimenti della macchina da presa volti a individuare i movimenti interiori, quanto il montaggio inteso come percezione globale e specifica dello spazio-tempo. La macchina da presa di John Cassavetes dà costantemente l’impressione di un inesausto movimento febbrile alla ricerca di volti e corpi: essa stessa è un personaggio che scruta e partecipa alla vita degli altri personaggi protagonisti del film. Allo stesso modo il montaggio si sviluppa attraverso una continua collisione di immagini, ellissi dilatate oltre misura e in una quasi totale assenza di raccordo tra i piani.

BAD LIEUTENANT (1992) di Abel Ferrara – Capitolo 4: La prova generale

I grandi maestri: William Friedkin, Luis Buñuel, John Cassavetes, James Toback – ispirazioni sublimi su un cattivo tenente

Il poliziotto è nudo pertanto (e Ferrara opportunamente mostra un full-frontal mantegnano di Harvey Keitel in una delle prime scene del film), stretto in una città in cui la violenza dilaga e contagia ogni essere umano come una vera e propria epidemia o malattia. Non è casuale che Bad Lieutenantsia oltremodo accomunabile con uno dei film più controversi degli anni ’80, Cruising (id., 1980) di Williamn Friedkin e che la parabola di Lt ricalchi sul versante spirituale quella materiale di Steve Burns (Al Pacino). In Cruising, il poliziotto Steve Burns (Al Pacino) si addentra come infiltrato nella New York omosessuale alla ricerca di un serial killer che uccide e mutila i gay; la sua indagine però lo porterà a mettere in discussione la sua identità sessuale e a confrontarsi con il lato oscuro della sua anima. Anche qui, come in Bad Lieutenanttroviamo un’indagine poliziesca a fare da sfondo ad un tema ben più ampio e profondo: la conoscenza di se stessi fino alle estreme conseguenze. Come in Bad Lieutenant anche nel film di Friedkin, è fondamentale il contributo del sonoro: nel film di Ferrara i rumori nascondo i dialoghi, in Cruising il rumore del cuoio e della pelle e il battere dei tacchi e degli stivali delimitano luoghi e spazi e sono rivelatori di una minaccia costante. Steve Burns come Lt è spettatore passivo dei rapporti sessuali: se in Bad Lieutenanterano performance recitate, in Cruisingsono gli accoppiamenti e le orge dei locali sado-maso del Greenwich Village a sconvolgere ed affascinare la mente del protagonista, progressivamente compresso in spazi sempre più asfittici: azzeramento dello spazio quindi, cioè il vuoto.