Diario, ipotetico, della scomparsa di una cittadina di campagna
In Affliction, il paesaggio invernale, soffice e innevato diventa personaggio “terzo”, determinante nella narrazione secondo la lezione di Sjostrom prima e di Dreyer poi. Per Schrader è una sorta di contrltare del marciume e della cattiveria che abitano i cittadini di Lawford; ma non è solo così semplice, il paesaggio in Affliction agisce anche da interludio e da sincope. Lungo tutto lo svolgimento del film si notano una serie di campi lunghi fossilizzati, in cui la natura statica e inerte corrisponde alla catatonia dei personaggi e introduce, talvolta, impreviste svolte narrative. Anche i legami di sangue, scandiscono i tempi del film, soprattutto quello che lega da un lato Wade al padre Glen e dall’altro Wade e il fratello Rolf, per gran parte del film sorta di confessore telefonico del fratello maggiore, ma anche “anima dannata” incapace di accorgersi del male che perpetra con le sue parole perchè convinto presuntuosamente di essere esente dal contagio genetico. L’educazione, i suoi limiti, i suoi eccessi e le sue ambiguità è la cifra morale che permea il film e sono l’argomento cui è demandata la chiosa di Affliction, intesa quasi, come una sorta di monito “universale” per le generazioni a venire: “I fatti ormai li conoscono tutti: tutta Lawford, tutto il New Hampshire e un po’ di Massachusset. I fatti non costituiscono la storia. Le nostre storie, quella mia e di Wade, sono quelle dei ragazzi e degli uomini in migliaia di anni. Ragazzi che sono stati picchiati dai loro padri e la cui capacità di amare e di avere fiducia è stata distrutta quasi dalla nascita. Uomini, la cui unica speranza di comunicare con altri esseri umani era quella di rimanere in disparte, aspettando che la loro vita fosse finita. L’unico modo per non riuscire a distruggere i nostri figli e non terrorizzare le donne che hanno la sfortuna di amarci è quello di rifuggire la tradizione della violenza maschile, rifiutando la seduzione della vendetta…” Parole che chiudono un parabola morale in cui giustamente, il regista non condanna (ma nemmeno assolve) i suoi personaggi.