Un tragicomico equivoco di fine millennio
Sam Mendes appartiene alla nuova generazioni di “autori” hollywoodiani. Tenendo presente che la parola “autore” a Hollywood ha sempre un significato diverso che altrove, a causa sia delle ingerenze dei produttori sia dalla necessità di “fare cassetta”, anche per i film più “impegnati”. Difficile trovare, da parte della critica, un’opinione univoca sul regista: alcuni lo considerano uno dei pochi registi americani (ma Mendes è inglese), assieme a Darren Aronofsky, Paul Thomas Anderson, David Fincher, capace di coniugare impegno e spettacolo mantenendo uno stile inalterato e riconoscibile, altri un onesto mestierante, furbo e abile nel manipolare gli spettatori con storie ammiccanti e personaggi in cui è facile identificarsi. Solitamente non sono uso a schierarmi ma in questo caso ammetto (spazzando via il campo da ogni ambiguità) di appartenere alla seconda schiera di critici (anche se Revolutionary Road sembra smentire questa mia presa di posizione). Nonostante ciò ritengo che ogni filmografia sia sempre più complessa di ciò che appare e pertanto, una volta scoperte le carte, cercherò di affrontare il suo cinema mettendo da parte il pregiudizio e limitandomi ad una analisi obiettiva e asettica (quanto più possibile).