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Anni Settanta

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AVERE VENT’ANNI (1978) di Fernando Di Leo – Parte Terza

Istantanea ad un millimetro dal baratro…

 

Certe battute nei due film del 1968 avevano un certa pregnanza contenutistica, mentre nella replica riproposta dieci anni dopo altro non sono che parodia di se stesse che di Leo sottolinea immergendole in un contesto ironico e dissacrante. In Brucia ragazzo brucia Margeherita, per presentare la sua libertà dice a Clara: “Bere quando non si ha sete e fare l’amore tutte le stagioni… è ciò che ci distingue dalle bestie”; nel 1978 “il nazariota” usa più o meno la stessa battuta solo più per rimproverare Lia che gli dice che non ha voglia di fare l’amore “a comando”: “Eh… ma cara figliola, bere quando non si ha sete, mangiare quando non si ha fame e fare l’amore quando non si ha voglia,…è proprio questo che ci distingue dalle bestie no?”.

AVERE VENT’ANNI (1978) di Fernando Di Leo – Parte Seconda

Ritratto selvaggio di un paese senza futuro

 

Erroneamente si parla, da sempre, di Avere vent’anni come di un road movie: in realtà il film si svolge per l’80% a Roma e solo per un 20% affronta spostamenti e/o divagazioni “on the road”. Certo se lo si intende come un “viaggio” all’interno del contesto sociale italiano di quegli anni, allora il genere può apparire appropriato, altrimenti non si può non notare come la pellicola di Fernando di Leo altro non sia che la rappresentazione spettrale di qualcosa che è esistito nella mente delle giovani generazioni e subito svanito con le percosse e la repressione autocratica di una nazione che vuole limitare la libertà in quanto ritiene che questa è foriera solo di disordine all’interno dell’ordine dello status-quo precostituito.

AVERE VENT’ANNI (1978) di Fernando Di Leo – Parte Prima

Partitura incompiuta per un film mancato

 

Com’è triste aver vent’anni… tra il proibito e l’illusione,

scoprire che la vita peggiorerà.

Gli entusiasmi dei vent’anni… stai attento a come vivi!

Ormai non c’è altro da credere che non bruci in un momento”

                                                                                                (Spadaccino/di Leo – Gloria Guida)

Lia (Gloria Guida) e Tina (Lilli Carati) sono due belle ragazze che si incontrano per caso su una spiaggia. Decidono di andare a Roma facendo l’autostop. Giunte nella capitale si procurano (a modo loro) da mangiare, caffè e sigarette, e poi si dirigono verso la comune di Piazza Dante 21 gestita da Michele Palumbo (Vittorio Caprioli) detto “il nazariota”. Qui intreccino diversi rapporti più o meno amichevoli con “il riccioletto” (Vincenzo Crocitti), Rico (Ray Lovelock), Argiumas (Leopoldo Mastelloni) …Personaggi strani, anomali, quasi spettrali che popolano uno spazio vuoto e desolante. Per mantenersi e su invito del “nazariota” le due giovani cominciano a vendere enciclopedie nei quartier bene della capitale e anche qui incontrano uomini e donne da “fine dell’impero”, tra cui il Prof. Affatati (Danele Vargas), una borghese sola (Licinia Lentini) e un pensionato ministeriale (Fernando Cerulli). Fatto ritorno alla comune, vengono arrestate con tutti gli abitanti a seguito di una retata della polizia guidata dal commissario Zamboni (Giorgio Bracardi). Viene dato loro il foglio di via per fare ritorno al loro paese. Non ci arriveranno mai, perché sulla via del ritorno, in una trattoria isolata nel bosco si imbattono in un branco di balordi che le stuprano e le uccidono brutalmente.

Il titolo del film, come noto, prende spunto dall’epigrafe in calce alla prefazione di “Aden Arabia” opera del filosofo e scrittore Paul Nizan già amico di Jean-Paul Sartre e fervente comunista francese fino al momento dell’abiura ideologica in seguito alla firma del patto Ribbentrop-Molotov del 1939: “Avevo vent’anni… Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”.

PAOLO CAVARA. GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO su STANZEDICINEMA.COM

Recensione di Marco Albanese – 21 Giugno 2014

 

Paolo Cavara è uno dei registi dimenticati dal mondo del cinema italiano. Scomparso prematuramente nel 1982, i suoi film, con la sola eccezione dei documentari celeberrimi firmati nei primi anni ’60 con Jacopetti e Prosperi (Mondo cane, La donna nel mondo), sono come scomparsi assieme a lui.

Se la televisione non li trasmette, l’home video è altrettanto colpevolmente “distratto”.

Quello di Paolo Cavara è diventato un cinema invisibile. Persino il suo film più stratificato e illuminante, L’occhio selvaggio, non è mai stato editato in Italia nè in vhs, nè in dvd e non è mai stato programmato da nessuna emittente televisiva.

Paolo Cavara è uno dei registi dimenticati dal mondo del cinema italiano.A rompere l’oblio che ha finito per avvolgere il suo nome nel corso degli ultimi trent’anni, è arrivato finalmente il critico e saggista Fabrizio Fogliato, che nel suo “Paolo Cavara. Gli occhi che raccontano il mondo”, restituisce al regista il posto che merita nel quadro del cinema italiano d’autore degli anni ’60 e ’70.

Leggi l’intera recensione

EMANUELLE IN AMERICA (1976) di Joe D’Amato (Seconda Parte)

Quando Emanuelle ruppe lo specchio: la vertigine della visione

 

Se in Emanuelle e Françoise, le sorelline, il maschio è incatenato ad un palo nel ruolo di sterile spettatore, in Emanuelle in America, gira il mondo con un collare dorato e numerato, trainato come un cagnolino al guinzaglio di facoltose borghesi. La sua unica funzione è quella di strumento di piacere a pagamento, il macho è ridicolizzato in decadenti pantomime (come quella in cui è travestito da Zorro) necessaria al soddisfacimento di un piacere geriatrico (espresso al meglio nella sua disfunzionalità, dagli inserti hard-core). Il secondo binario, su cui si muove il film, oltre ad essere ben più interessante, è anche significativo di un percorso, giunto sul limite del punto terminale, operato dal cinema “bis” (ma anche da quello d’autore) degli anni ’70, al fine di scardinare i meccanismi censori e di abbattere tutte le barriere del mostrabile. In questo, Emanuelle in America diventa una sorta di film-manifesto e il suo regista un demiurgo capace di cogliere l’attimo, intuire il cambiamento irreversibile dello sguardo e affondare la scrittura cinematografica nella palude dell’estremo senza né infingimenti né ipocrisie.

EMANUELLE IN AMERICA (1976) di Joe D’Amato (Prima Parte)

L’insostenibile leggerezza del sesso…

 

Tra tutti i generi del cinema italiano degli anni’70, l’ “erotico-esotico” è sicuramente quello più autoctono, perché legato alla scoperta di qualcosa che, per l’italiano-medio del periodo, appare come lontano e misterioso. La ricerca di culture straniere, la maggior possibilità di spostamento grazie al diffondersi dell’utilizzo dell’aereo come mezzo di trasporto e l’idea (fallace) di una presunta libertà e spensieratezza sessuale dei popoli indigeni, identificano i luoghi esotici come dei veri e propri “paradisi”. Luoghi lontani e desiderati, dove l’italiano-medio sogna di andare a vivere e/o trascorrere un’intensa vacanza (con tanto di esperienza sessuale con un’indigena), per poi poterla raccontare agli amici. Ambientati prevalentemente in luoghi caraibici, i film erotici-esotici seguono tutti più o meno lo stesso copione: un europeo/a intraprende un viaggio in una località misteriosa per sfuggire allo stress della quotidianità, dove spesso cerca (più volte incontra) un legame affettivo con una abitante locale. I film si aprono con un aereo che decolla (o atterra) verso destinazioni lontane (Africa, Polinesia, Caraibi…) e termina con lo stesso aereo che decolla per riportare i protagonisti nella realtà di tutti i giorni, trasportando uomini/donne occidentali (quasi) sempre delusi, sconfitti e/o sofferenti. Nel 1978 il regista Joe D’Amato si trova nei Caraibi per le riprese dell’action-movie Duri a morire. In quel periodo si reca a Santo Domingo per girare l’erotico-esotico Papaya dei Carabi, e qui il produttore del film gli commissiona quattro film erotici-hard da girare sul posto. Sesso Nero viene girato nel 1978, ma viene distribuito nelle sale italiane solo due anni dopo, diventando ufficialmente il primo film pornografico del cinema italiano.

“…E TANTA PAURA” (1976) in “PAOLO CAVARA – GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO”

L’ “altro” giallo di Paolo Cavara, ovvero la favola di Pierino Porcospino

 

E’ in arrivo la prima biografia/monografia dedicata al regista Paolo Cavara.

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo” è un libro ricco di documenti inediti e che si avvale del prezioso contributo del figlio del regista Pietro Cavara.

Al suo interno anche i soggetti integrali di Mondo Cane (1962) e de I Malamondo (1964)…e tutti i lavori inediti del regista.

 

La crudele favola di Pierino Porcospino…scoprine l’orrore e il sarcasmo….

 

SUOR OMICIDI (The Killer Nun, 1978) di Giulio Berruti

Ite, missa est!

 

Prodotto da Enzo Gallo, che in realtà si preoccupa solo di depositare un titolo di giornale che recita appunto Suor omicidi, questa è una delle pellicole più iconoclaste e provocatorie che il nostro cinema di genere abbia mai prodotto. Intelligente e raffinato nella messa in scena, il film appartiene di diritto a quel cinema medio trans-genere, in grado (più di ogni altro) di leggere e filtrare la realtà. Uscito nel 1978 ed esempio pregnante del filone denominato nun-exploitation, Suor omicidi (aka The Killer Nun) di Giulio Berruti è un film sfortunato e maledetto, distrutto dalla censura, scomparso dalla circolazione per quasi trent’anni e divenuto oggetto di culto, anche per la sua capacità di andare oltre al facile erotismo di facciata e di non affondare nelle paludi del soft-core, evitando ogni scivolone nel cattivo gusto.

«In tutta franchezza: non lo so. Non l’ho mai pensato e se è veramente così, ne sono lusingato, anche se Suor omicidi editato è la metà del film che avrei voluto girare. Penso di dovere molto a Pedro Almodóvar che ha spalancato le menti ed annullato certe irritanti forme di rispetto che rasentano la superstizione. Considero Almodóvar il mio maestro. Il mio guaio è che l’allievo ci ha provato due anni prima.» (Intervista a Giulio Berruti al Ravenna Nightmare Film Festival)

LOS AMIGOS (1973) in “PAOLO CAVARA – GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO”

Lo “spaghetti-western” di Paolo Cavara

E’ in arrivo la prima biografia/monografia dedicata al regista Paolo Cavara.

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo” è un libro ricco di documenti inediti e che si avvale del prezioso contributo del figlio del regista Pietro Cavara.

Al suo interno anche i soggetti integrali di Mondo Cane (1962) e de I Malamondo (1964)…e tutti i lavori inediti del regista.

Per saperne di più su Los Amigos… dalle vive parole di Paolo Cavara…

 

LA TARANTOLA DAL VENTRE NERO in “PAOLO CAVARA. GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO”

Il senso dell’erotismo nel cinema di Paolo Cavara

L’astrazione entra in gioco anche attraverso la messa in scena dello sguardo, che qui appare come un’ulteriore riflessione sulla “menzogna cinematografica” con un assassino fintamente cieco, con l’utilizzo di altri strumenti di ripresa all’interno del film e con il processo di blow-up a cui è sottoposta la fotografia di Maria Zani per capire che cosa sia quella macchia scura che appare dietro la sua nuca che, attraverso l’ingrandimento del dettaglio, si rivela essere un aereo in fase di atterraggio.