Estratto del libro da La tratta delle bianche (1952) di Luigi Comencini
La tratta delle bianche è un film in cui si mescolano, vorticosamente, l’illusione del successo, l’avidità, la via facile per il guadagno, la freddezza dell’indifferenza, la svalutazione della vita e della dignità umana, la competizione e rivalità femminile, l’erotismo delle sottovesti e il gusto sadico dello spettacolo. Un film da cui non sono esenti da colpa non solo i protagonisti ma anche gli spettatori presenti in sala che per traslato sono quelli che, sadicamente e compiaciuti, assistono alla maratona, godono della sofferenza dei partecipanti e li istigano con scommesse e premi. In mezzo – tra attori e spettatori – si muovono i mezzani di cui Michele è il perfetto rappresentante ma la cui figura esiste perché da una parte ci sono Marquedi e il titolare dello sferisterio e dall’altra Alda, Giorgio e Linuccia. In un film in cui tutti tradiscono tutti il mezzano, in quanto incarnazione della menzogna e del doppio-gioco, non può che farla da padrone fino a quando le cose vanno bene e diventare capro espiatorio quando la barca comincia ad affondare. Inoltre Michele è un uomo di borgata che prima di tutto tradisce la sua gente e le regole che governano questo strano microcosmo fatto di connivenza, rancori, invidie e solidarietà solo apparente.
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