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Italia: ultimo atto

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CÁLAMO (1975) di Massimo Pirri

Estratto del libro da ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

Cálamo è Vanità: il film è un road-movie spirituale che contrappone da un lato il dubbio e il libero arbitrio del seminarista e dall’altro il “gruppo” (=società) con le sue certezze fittizie (e materiali) e le sue ipocrisie. L’abito del film è quello del travestimento che lentamente disvela l’“Essere” di uomini e donne. In questo Massimo Pirri è diretto sin da subito, nel mostrare – già dalla prima sequenza del film  – lo scambio dei vestiti tra Riccardo e Stefania, nella sublimazione simbolica di un rapporto sessuale impossibile. In una società corrotta come è quella rappresentata nel film, il trasformismo non rappresenta l’eccezione bensì la norma. Lo dimostra il fatto che la tonaca da prete di Riccardo diventi oggetto di travestimento, maschera, gioco, persino dileggio da parte di tutti coloro che la toccano – escluso il suo legittimo proprietario. Riccardo, prete-bambino, nel film riveste (e incarna) questo duplice ruolo, agendo sulla sottile linea di demarcazione su cui si legge il libero arbitrio. Egli è un “povero Cristo” (nel senso letterale del termine) costretto – suo malgrado – a intraprendere una via crucis al termine della quale è prevista la redenzione ma è negata la resurrezione.

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L’IMMORALITA’ (1978) di Massimo Pirri

Estratto del libro da ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

Una volta raccontata la disillusione generazionale (Calámo) e la destrutturazione dello Stato (Italia: ultimo atto?), le attenzioni di Massimo Pirri si rivolgono al nucleo fondante della società: la famiglia. L’Immoralità è un’onda anomala di immagini desacralizzanti, che travolge e annienta i protagonisti del film, con un furore e una poesia senza precedenti. Avulso da ogni modello, imperniato sull’ossimoro come idea di sceneggiatura e diretto sul limite della follia, L’Immoralità è un gioco al massacro senza regole e senza via di fuga, né per i personaggi né per lo sguardo dello spettatore. Pirri dirige un Kammerspiel fiabesco che si svolge (quasi) tutto in una villa e nel parco adiacente, descrivendo un universo concentrazionario di cinismo, perversione e pietismo. Guardando il film si palpa materialmente la furia nichilista che anima il regista e si rimane sbalorditi dalla coerenza e dalla sincerità con cui questo autore, non allineato, centrifuga valori e disvalori, moralità e moralismo, orribile e meraviglioso. Sempre in bilico sul crinale dell’ambiguità – e giostrato con un ritmo lento e avvolgente che dilata a dismisura i tempi del montaggio – il film descrive una spirale di odio/amore destinata a chiudersi in un cul de sac caustico e irriverente.

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ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

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ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

Estratto del libro da La tratta delle bianche (1952) di Luigi Comencini

La tratta delle bianche è un film in cui si mescolano, vorticosamente, l’illusione del successo, l’avidità, la via facile per il guadagno, la freddezza dell’indifferenza, la svalutazione della vita e della dignità umana, la competizione e rivalità femminile, l’erotismo delle sottovesti e il gusto sadico dello spettacolo. Un film da cui non sono esenti da colpa non solo i protagonisti ma anche gli spettatori presenti in sala che per traslato sono quelli che, sadicamente e compiaciuti, assistono alla maratona, godono della sofferenza dei partecipanti e li istigano con scommesse e premi. In mezzo – tra attori e spettatori – si muovono i mezzani di cui Michele è il perfetto rappresentante ma la cui figura esiste perché da una parte ci sono Marquedi e il titolare dello sferisterio e dall’altra Alda, Giorgio e Linuccia. In un  film in cui tutti tradiscono tutti il mezzano, in quanto incarnazione della menzogna e del doppio-gioco, non può che farla da padrone fino a quando le cose vanno bene e diventare capro espiatorio quando la barca comincia ad affondare. Inoltre Michele è un uomo di borgata che prima di tutto tradisce la sua gente e le regole che governano questo strano microcosmo fatto di connivenza, rancori, invidie e solidarietà solo apparente.

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ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri (prefazione di Davide Pulici)

Rassegna Stampa – Aprile-Maggio 2015

Il grande successo che sta riscuotendo (uscito a fine aprile e già in ristampa) “Italia: ultimo atto. L’altro cinema italiano  – Vol. 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri”, è confermato dalle prime segnalazioni sul web, dagli attestati di validità e di preziosità del progetto da parte di prestigiose riviste di settore, nonché dalle numerose richieste di interviste all’autore.

Ecco qui un primo assaggio

ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

Estratto dal libro sul film LA STAGIONE DEI SENSI (1969) di Massimo Franciosa

Altro parto argentiano, questa volta condiviso con Barbara Alberti, Franco Ferrari e Peter Kintzel a partire da un soggetto di Amedeo Pagani, è la sceneggiatura de La stagione dei sensi (1969) diretto da Massimo Franciosa. In questo caso tanto la dimensione gotica, quanto quella parodistica sono decisamente accentuate, al limite del parossismo, trasformando il film in una sorta di apologo bizzarro e misogino. Il sesso è elemento persistente, qualcosa di appiccicaticcio, che trasuda dalle pareti del maniero dell’isola e che funge da catalizzatore per la messa in scena allestita del suo proprietario.

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Estratto dal libro sul film LA RIVOLUZIONE SESSUALE (1968) di Riccardo Ghione

Questo film fa parte di quelle opere in cui Dario Argento (prima del suo esordio come regista) offre il suo contributo di sceneggiatore, mettendo già in evidenza sia i tratti inquietanti che quelli parodistici del suo pensiero cinematografico all’interno di una scrittura che ammicca più all’incubo e alla dimensione onirica che alla realtà. La regia di Riccardo Ghione (che co-sceneggia a partire da un suo soggetto ispirato al saggio omonimo di Wilhelm Reich) si allinea alla dimensione argentiana facendo diventare il film, una sorta di sogno-incubo lisergico e bizzarro, in cui – nonostante la linea che divide la cieca fedeltà al “maestro” dal dubbio e dal senso critico espresso nei confronti delle sue teorie, sia chiara sin da subito –  tutto appare poco definito, sospeso, persino ambiguo. I monoblocchi, attraverso cui si sviluppa il film costituiscono sequenze-chiave il cui contenuto si lega direttamente sia a quella che precede che a quella che segue.

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Estratto dal libro sul film VORTICE (1953) di Raffaello Matarazzo

Vortice di Raffaello Matarazzo, sceneggiato dal regista con Aldo De Benedetti e Alessandro Continenza, pone all’attenzione dello spettatore tanto il matrimonio borghese, quanto l’arcaicità della tradizione. Il padre, all’inizio del film, tenta il suicidio per i debiti che ha accumulato affinchè la figlia non dovesse andare a lavorare. Scelta che, involontariamente, la condannerà ad un matrimonio borghese obbligato e non voluto. Basato sulla “proposta indecente” che prevede lo scambio tra matrimonio e denaro, in cui il primo serve ad estinguere i debiti di famiglia e ad impedire al padre di finire in carcere, il film – che non lesina temi audaci e improvvidi (nel finale c’è persino un tentativo di infanticidio) – vive sulla contrapposizione tra due donne, Elena Fanti (Silvana Pampanini) e Clara (Irene Papas), legate allo stesso uomo Luigi Moretti (Gianni Santuccio): una ne è la moglie obbligata, l’altra l’amante occasionale.

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Estratto dal libro sul film LA PECCATRICE (1940) di Amleto Palermi

Il film viene girato nel 1938 contemporaneamente a L’ultima nemica di Umberto Barbaro e, dopo essere stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, viene distribuito a partire dal 3 settembre del 1940. Tanto per l’audacia dei temi trattati, quanto per l’ambientazione urbana e contemporanea, quanto per alcuni passaggi neorealistici, La peccatrice viene accolto con freddezza e suscita atteggiamenti controversi tanto da parte del pubblico che della critica. Certo è che, in epoca di censura fascista, viene da chiedersi come sia potuto essere distribuito un film che tutto in una volta mette in sequenza il mondo della prostituzione, il rapporto extra matrimoniale, il tentativo di suicidio e una visione della città e del progresso rappresentata come i tentacoli di una piovra pronti ad inghiottire chi non si dimostra all’altezza.

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