Tag

Luigi Kuveiller

Browsing

TODO MODO (1976) di Elio Petri – Parte seconda

Aldo Moro: “Todo modo è opera ignobile ma inevitabile”. 

In Todo modo il fattore unheimlich non si esaurisce nella temporaneità dell’assunto narrativo, ma si incunea nella familiarità del quotidiano per pervertire tutto ciò che è, apparentemente, innocuo. “Il Presidente” – sintesi del potere democristiano – nevrotizza il desiderio che incarna: le pulsioni, le patologie inespresse e frustrate di un intero corpus dirigente (non solo quello politico).

TODO MODO (1976) di Elio Petri – Parte prima

Il film di Petri prefigura la morte di Aldo Moro, il quale paga di persona – proprio come accadrà nella Storia – per le colpe di un intero sistema politico.

Aldo Moro è – tra le altre cose – un uomo politico la cui vita tra il 1974 e il 1976 è matrice per la sua futura dimensione cinematografica. Le premesse sono: il fallimento dell’esperienza governativa di centro-destra DC-PLI (Partito Liberale Italiano) a guida Giulio Andreotti che riporta sulla scena (per la quinta e ultima volta) il leader democristiano all’alba del 1973; la sconfitta del “sì” nel referendum sul divorzio del 12-13 maggio 1974 e la débâcle del centro-destra alle regionali del 15-16 giugno 1975 (DC: 35%; PCI: 33%; l’intera area di sinistra al 46%), per cui Moro viene richiamato d’urgenza nell’agone politico per affrontare le “temibili” politiche del 1976 (con lo spauracchio del sorpasso a sinistra).

LA PROPRIETA’ NON E’ PIU’ UN FURTO (1973) di Elio Petri

Un padrone, un popolo… il denaro

 

Diretto da Elio Petri nel 1973, La proprietà non è più un furto è l’ultimo capitolo della trilogia dedicata al potere. Questo film arriva dopo l’analisi del potere istituzionale di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e dopo quella del potere padronale di La classe operaia va in paradiso. Alla sua uscita, l’ultimo capitolo della trilogia di Petri venne aspramente criticato dalla sinistra dell’epoca e (cosa che fece più male al regista), letteralmente massacrato dai propri colleghi. Se apparentemente il film sembra meno riuscito dei due precedenti (e in effetti lo è), in realtà si tratta di un’opera profetica in grado di delineare, seppur in maniera confusa e approssimativa, le dinamiche socio-economiche di un’Italia proiettata nei rampanti anni ’80. Volutamente sgradevole e volgare La proprietà non è più un furto rappresenta lo specchio incrinato di una società traumatizzata dall’improvvisa mancanza di benessere, alla disperata ricerca di quel “boom” che pochi anni prima ha fatto dell’Italia uno dei paesi più industrializzati d’Europa.

Il giovane ragionier Total (Flavio Bucci), allergico al denaro altrui fino a violente forme di irritazione cutanea, decide di abbandonare il posto in banca per dedicarsi interamente alla persecuzione di un ricco macellaio romano (Ugo Tognazzi). Marxista-mandrakista, come si definisce all’ombra di un manifesto di Mandrake il mago, il ragioniere non lesina dispetti per angosciare il macellaio: gli ruba il coltello, il cappello, i gioielli dell’amante/proprietà Anita (Daria Nicolodi), finché si mette alla scuola di un ladro esperto detto “Alberatone” (Mario Scaccia), per diventare sempre più pericoloso. Ma Total è destinato a scoprire che i furtarelli non scuotono la fiduciosa tracotanza di un capitalista, anzi l’attività dei ladri non è altro che una modesta caricatura della lotta di classe e si integra nel sistema. Cosi il ladro professionista muore in questura, mentre Total fa anche lui una brutta fine…