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TOP SENSATION (1969) di Ottavio Alessi

In ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

 

Il mare in Top sensation è un non-luogo, uno spazio aperto, immenso, privo di confini necessario per definire uno sguardo “pornografico” sulla vicenda: non tanto per il cospicuo materiale erotico presente nel film , quanto per impedire allo spettatore di volgere lo sguardo altrove di cercare una via di fuga impossibile – così come è negata ai personaggi della vicenda. Quello che sopravvive, prima di tutto a se stesso, sullo yacht è un coacervo di vipere tenuto assieme dal vizio e dall’avidità che, con il suo comportamento, persuade e contamina i due contadini dell’isola che gìà di per se non sono esenti da colpe. Ecco dunque materializzarsi quella “regola del gioco” che lega ricchi e poveri (senza distinzione di classe) attorno alla cupidigia e alla lussuria, in cui emergono gli aspetti più crudeli (attraverso il dialogo) delle differenze di classe e in cui la violenza e il cinismo sono armi spuntate messe in mano a fantasmi della società.

L’AMORE POVERO [I PIACERI PROIBITI- 1963] di Raffaele Andreassi

In ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

 

Raffaele Andreassi con L’amore povero evita, indulgenza, retorica e compiacimento – ma anche ipocrisia e moralismo – restituendo allo spettatore tutto lo squallore e l’umanità di un microcosmo – paradigma che abbraccia tutte le classi sociali e che non fa distinzione né di censo né di ruolo. Nel film, interpretato ma sarebbe meglio dire vissuto da “professioniste,” si avverte nel loro agire, nelle loro espressioni e nel loro relazionarsi al “cliente” tutta la tensione recitativa di un’intensa sensibilità nel ricoprire il ruolo di immagine (cioè di donna ideale e temporanea). Colpisce l’affidarsi del film ad immagini che altro non sono che fatti raccontati attraverso la frammentarietà del reale (con grande anticipo sui tempi Andreassi è consapevole che la realtà non è riproducibile nella sua totalità), in cui le parole scompaiono, i dialoghi sono laconici e frettolosi, mentre invece le immagini, puntando sulla verosimiglianza, restituiscono tutta l’amarezza, il dolore (e il ridicolo)  delle situazioni mostrate espellendo, ontologicamente, qualsivoglia aspetto erotico e/o pruriginoso.

VERGOGNA SCHIFOSI! (1969) di Mauro Severino

In ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

 

Ci sono film prodotti e realizzati nel biennio 1968-69, il cui valore intrinseco travalica il semplice contenuto artistico. Film d’autore nel senso più assoluto, quello cioè di film personali o di film della vita, opera unica e omnia di un regista che attraverso quel film vuole dire tutto e subito, con una forza e un impulso primordiali talmente feroci da esaurire in un’unica pellicola tutta l’ispirazione e da rendere impossibile, successivamente, il ripetersi di un’ operazione simile. C’è nell’aria una frenesia, una voglia di raccontare, raccontarsi, sondare la società in cui si vive sostenuta da una passione e da dinamiche impossibili a ripetersi. Il tutto in un contesto totalmente privo di vincoli, di freni inibitori, di qualsivoglia spauracchio censorio – al punto che molte pellicole sono attraversate da una tensione morale e da un crudeltà talmente spietate da risultare estreme senza esserlo. A questa schiera di film appartiene sicuramente Vergogna schifosi!… di Mauro Severino che già dal titolo denuncia la sua vocazione asimmetrica, violenta e selvaggia.

ITALIA: ULTIMO ATTO. L’ALTRO CINEMA ITALIANO – IL PROGETTO 2016

Una landing page, rassegne e altre pubblicazioni

A seguito del grande successo riscontrato dal primo volume e in attesa del secondo – in fase di lavorazione – ITALIA: ULTIMO ATTO diventa un progetto multimediale. Dai primi di Ottobre è attiva la landing page del volume Italia: ultimo Atto. L’altro cinema italiano, di Fabrizio Fogliato. La pagina è la base di un progetto multimediale – e in divenire – che a partire dal 2016 si attiverà con presentazioni, proiezioni, convegni e rassegne, il tuttoi ncentrato sul cinema italiano censurato, nascosto, rimosso e dimenticato.

Per saperne di più

CÁLAMO (1975) di Massimo Pirri

Estratto del libro da ITALIA: ULTIMO ATTO – L’ALTRO CINEMA ITALIANO. Vol 1 – Da Alessandro Blasetti a Massimo Pirri

Cálamo è Vanità: il film è un road-movie spirituale che contrappone da un lato il dubbio e il libero arbitrio del seminarista e dall’altro il “gruppo” (=società) con le sue certezze fittizie (e materiali) e le sue ipocrisie. L’abito del film è quello del travestimento che lentamente disvela l’“Essere” di uomini e donne. In questo Massimo Pirri è diretto sin da subito, nel mostrare – già dalla prima sequenza del film  – lo scambio dei vestiti tra Riccardo e Stefania, nella sublimazione simbolica di un rapporto sessuale impossibile. In una società corrotta come è quella rappresentata nel film, il trasformismo non rappresenta l’eccezione bensì la norma. Lo dimostra il fatto che la tonaca da prete di Riccardo diventi oggetto di travestimento, maschera, gioco, persino dileggio da parte di tutti coloro che la toccano – escluso il suo legittimo proprietario. Riccardo, prete-bambino, nel film riveste (e incarna) questo duplice ruolo, agendo sulla sottile linea di demarcazione su cui si legge il libero arbitrio. Egli è un “povero Cristo” (nel senso letterale del termine) costretto – suo malgrado – a intraprendere una via crucis al termine della quale è prevista la redenzione ma è negata la resurrezione.

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ABEL FERRARA. UN FILMAKER A PASSEGGIO TRA I GENERI su TAXIDRIVERS.IT

Intervista a cura di Gianluigi Perrone – 09 Marzo 2015

 

Il Critico Fabrizio Fogliato esplora nuovamente l’universo di Abel Ferrara con un saggio edito da Sovera dove ci si sofferma ampiamente e come mai fino ad ora sull’opera del regista newyorkese, includendo l’intera produzione, inclusa molta produzione spesso considerata “minore” o tralasciabile, ma che invece dipinge l’autore a tutto tondo. Impreziosiscono vari interventi di personaggi che hanno circuitato intorno all’universo Ferrara. Per saperne di più chiediamo alcune domande all’autore

 

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REVOLUTIONARY ROAD di Sam Mendes (2008) – Parte Prima

Padre Nostro che sei nei cieli… dacci il nostro inferno quotidiano…

 

“Ho scelto quel titolo per suggerire come la strada intrapresa nel 1776 sia diventata col passare degli anni un vicolo cieco” (Richard Yates)

Sam Mendes firma la sua opera migliore con una regia misurata, tutta basata sul principio di sottrazione, meticolosa e puntuale nel sottolineare le crepe di una famiglia, una società e una nazione. Asseconda la meravigliosa sceneggiatura di Justin Haythe e traduce sullo schermo tutto l’impatto emotivo del romanzo di Richard Yates, con un rigore fino ad ora sconosciutogli, e costruisce una struttura narrativa scevra da ipocrisie, furberie e velleità. Attraverso Revolutionary Road, con il contributo determinate di Leonardo Di Caprio e Kate Winslet (nuovamente sul set insieme ad 11 anni di distanza dal Titanic), Sam Mendes mette in scene un racconto amaro e lancinante sul crollo delle illusioni. Sviscera il complesso emotivo-“rivoluzionario” degli anni ’50, ne mette in mostra una visione cruda e reale, ne esalta le contraddizioni, le ipocrisie e lo spaesamento post-bellico, ne denuncia il materialismo, il conformismo e la solitudine degli individui. Come il romanzo, anche il film manda in pezzi l’American dream attraverso una visione del futuro infantile e utopica, legata ad egoismi individuali, frutto più di frustrazione quotidiana che di desiderio di cambiamento. I personaggi di Revolutionary Road non sono bidimensionali (per la prima volta in Mendes): sono uomini e donne complessi, psicologicamente instabili, umani nelle loro sofferenze e nella loro rabbia repressa; perdenti consapevoli della disfatta imminente, anarcoidi sui generis legati ad un conformismo di convenienza e opportunità, ipocriti nel mostrarsi e bugiardi nel relazionarsi con gli altri (e tra loro).

ABEL FERRARA. UN FILMAKER A PASSEGGIO TRA I GENERI su SENTIERISELVAGGI.IT

Recensione a cura di Roberto Rosa – 22 Novembre 2014

 

La passione per il regista newyorkese è palpabile in Fogliato così come la profonda conoscenza frutto di anni di studi che gli permettono di non smarrire mai lo sguardo d’insieme nell’analizzare il percorso autoriale di uno dei più imprevedibili (e, va detto, anche discontinui) registi contemporanei attraverso tutte le sue opere. Edito da Sovera Edizioni.

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PAOLO CAVARA, REGISTA GENTILUOMO

Roma, Venerdì  7 Novembre 2014 – Sala Trevi

 

Nel 2014 la Cineteca Nazionale ha restaurato uno dei capolavori di Paolo Cavara, “L’occhio selvaggio” (1967), presentato nella recente edizione del Festival di Roma.

Il 2014 è stato anche l’anno di Paolo Cavara, regista rimosso per troppo tempo nei volumi di storia del cinema. A rendergli giustizia il restauro da parte della Cineteca Nazionale di uno dei capolavori del cineasta, L’occhio selvaggio (1967), presentato all’ultima edizione del Festival di Roma, e la pubblicazione della sceneggiatura del film, edita da Bompiani e curata da Alberto Pezzotta. Non solo, sempre quest’anno sono apparse miracolosamente altre due pubblicazioni: Paolo Cavara. Gli occhi che raccontano il mondo di Fabrizio Fogliato e la riedizione ampliata, riveduta e corretta di un memoir del figlio del regista, Pietro, dal titolo Ricordo di un padre. Paolo Cavara, regista gentiluomo.

Come scrive Fogliato: «Lontano da qualunque forma di intellettualismo Paolo Cavara ha anticipato di decenni temi e dibattiti attuali persino oggi, come quello dell’ecologia e del culto delle apparenze. Ha sempre affrontato gli argomenti più urgenti e scottanti, senza mai alzare la voce, senza mai gridare lo scandalo ma, al contempo, sempre con una fermezza e un rigore che non possono non essergli riconosciuti».

a seguire il programma della giornata

GERARD DAMIANO’S PEOPLE (1978)

First Things First

 

Una settimana di lavorazione e un budget di 23.000 dollari, tanto ha richiesto il tournage di Deep Throat (quello di cui il suo autore disse: “Non è un film…è uno scherzo!”). Quando nel giugno del 1972 al Mature World Theatre di New York venne presentato Deep Throat (Gola profonda) di Gerard Damiano, il mondo del cinema e la società intera ebbero un sussulto. Il film incasserà dal 1972 a oggi, oltre 600 milioni di dollari, cifra che lo colloca a pieno titolo nella classifica dei dieci migliori incassi di tutti i tempi assieme a Titanic, E.T. l’extra-terrestre e Biancaneve e i sette nani. Quello che poteva diventare un elemento complementare del cinema mainstream, cioè il rendere esplicito all’interno della narrazione l’atto sessuale, venne ben presto fagocitato dalla logica commerciale e ostracizzato dal diffuso ma ipocrita perbenismo, spingendo la pornografia a chiudersi in un ghetto dorato. La pornografia rinuncia così ad essere narrativa e si auto-destruttura fino diventare oggi giorno: o semplice addizione di performance sessuali (i cosiddetti wall to wall) o a categorizzarsi in miriadi di sotto-generi per soddisfare ogni singola perversione. Nato nel Bronx 4 Agosto 1928 (e morto il 25 Ottobre 2008, a Fort Mayers in Florida), Gerard Damiano fino alla fine degli anni ’70 fa il parrucchiere nel Queens dove possiede con la moglie due saloni di bellezza. Nel 1968 poi, grazie ad un suo dipendente che frequenta il mondo del cinema, Damiano accetta di fare da truccatore ed estetista per alcuni film indipendenti. Poco alla volta si appassiona e impara il mestiere. Nel 1970 gira Sex USA, un filmino in 8-mm. sul nascente mondo del porno americano, firmandolo con lo pseudonimo di Jerry Gerard. Quindi fonda una sua etichetta indipendente: la Gerard Damiano Film Production Inc. Ne possiede la maggioranza, ma due terzi sono in mano alla famiglia mafiosa dei Peraino. Proprio da qui arriveranno i soldi per finanziare Deep Throat, e dall’incredibile successo del film avrà inizio la sua carriera come “autore” di film pornografici.

E quelli che gira fino al 1985 (anno di Cravings) sono veri e propri film narrativi, in alcuni dei quali vengono affrontate tematiche sociali, psicologiche e religiose, senza mai rinunciare alla recitazione e trasportando l’erotismo al di fuori delle scene di sesso: Damiano sa costruire con abilità una struttura pornografica superando di gran lunga il semplice film-pretesto di esibizioni hardcore. Tutto nei suoi film rimanda continuamente all’erotismo e nulla è pura parentesi, momento di stacco e di attesa tra un amplesso e l’altro: nulla cioè viene lasciato al caso, nulla viene subito come un momento inevitabile, una necessaria soluzione di continuità tra situazioni di pura esibizione genitale. (Franco La Polla, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, Laterza, Roma, 1987, p.328). Damiano dunque è autore a tutto tondo in un genere dove la critica, di solito, non ne riconosce, e Gerard Damiano’s People, film a episodi del 1978, oltre a rappresentare il momento-sintesi di elaborazione della sua ossessione registica (la fellatio), vuole essere un ritratto della società americana del tempo e un allegoria sul tema del desiderio. Un lavoro fortemente autoriale e personale (come ben dimostra il titolo originale), che pone il regista newyorkes di fronte al mettere in scena se stesso e nel trasformare il film in un vero e proprio flusso di coscienza. Il suo modo di intendere il cinema hard è espresso al meglio dalla sua viva voce: “Alcuni istanti, forse frazioni di secondo, prima dell’orgasmo, l’uomo assume un’espressione bellissima. I muscoli si contraggono, il respiro si fa flebile e ansimante, e sul volto la pelle disegna i tratti di una maschera inquietante, quasi espressionista. Per fissare questo momento unico e irripetibile giro sempre con due macchine da presa: una orientata sui genitali e l’altra fissa sul primo piano dell’attore, pronta a cogliere ciò che succede sul suo viso.(…) L’orgasmo è l’unica attività dove l’uomo non può mentire, perchè in quell’istante, anche per una frazione di secondo, il suo viso è privo di segreti” (in A.A.V.V. Diva Blue, Giugno 1986. trad. Fabrizio Fogliato).

leggi l’intero saggio, pubblicato il 14 Ottobre 2014 su rapportoconfidenziale.org