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ABEL FERRARA. UN FILMAKER A PASSEGGIO TRA I GENERI – intervista a Cameralook.it

Abel Ferrara. Un filmaker a passeggio tra i generi e Welcome to New York

 

intervista di Giacomo Aricò – 22 Maggio 2014

È da poco uscito Welcome to New York, l’ultimo discusso film diAbel Ferrara che sarà trasmesso oggi in streaming a livello mondiale. Una storia che ripercorre lo scandalo a luci rosse che ha coinvolto nel 2011 Dominique Strauss Kahn quando ai tempi era il Direttore del Fondo Monetario Internazionale. DKS si è infuriato e ha querelato Ferrara, considerato uno dei cineasti più influenti e innovativi della storia del cinema. Per parlare di questo regista mai banaleCameralook ha deciso di intervistare il critico cinematografico e scrittore Fabrizio Fogliato, autore del libro Abel Ferrara – Un filmaker a passeggio tra i generi per Sovera Edizioni.

leggi l’intervista integrale……

MONDO CANE in “PAOLO CAVARA – GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO”

MONDO CANE secondo PAOLO CAVARA

E’ in arrivo la prima biografia/monografia dedicata al regista Paolo Cavara.

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo” è un libro ricco di documenti inediti e che si avvale del prezioso contributo del figlio del regista Pietro Cavara.

Al suo interno anche i soggetti integrali di Mondo Cane (1962) e de I Malamondo (1964)…e tutti i lavori inediti del regista.

Nel libro, Mondo Cane come nessuno via ha ancora raccontato….

SUOR OMICIDI (The Killer Nun, 1978) di Giulio Berruti

Ite, missa est!

 

Prodotto da Enzo Gallo, che in realtà si preoccupa solo di depositare un titolo di giornale che recita appunto Suor omicidi, questa è una delle pellicole più iconoclaste e provocatorie che il nostro cinema di genere abbia mai prodotto. Intelligente e raffinato nella messa in scena, il film appartiene di diritto a quel cinema medio trans-genere, in grado (più di ogni altro) di leggere e filtrare la realtà. Uscito nel 1978 ed esempio pregnante del filone denominato nun-exploitation, Suor omicidi (aka The Killer Nun) di Giulio Berruti è un film sfortunato e maledetto, distrutto dalla censura, scomparso dalla circolazione per quasi trent’anni e divenuto oggetto di culto, anche per la sua capacità di andare oltre al facile erotismo di facciata e di non affondare nelle paludi del soft-core, evitando ogni scivolone nel cattivo gusto.

«In tutta franchezza: non lo so. Non l’ho mai pensato e se è veramente così, ne sono lusingato, anche se Suor omicidi editato è la metà del film che avrei voluto girare. Penso di dovere molto a Pedro Almodóvar che ha spalancato le menti ed annullato certe irritanti forme di rispetto che rasentano la superstizione. Considero Almodóvar il mio maestro. Il mio guaio è che l’allievo ci ha provato due anni prima.» (Intervista a Giulio Berruti al Ravenna Nightmare Film Festival)

MERRY-GO-ROUND (DONNE VIENNESI, 1923) di Erich Von Stroheim

Erich Von Stroheim: l’incompiutezza della grandiosità, il realismo “estremo”, il sadismo nei rapporti umani… quello che poteva essere e che non è stato….

 

Merry-Go-Round (Donne viennesi, 1923), ovvero “carosello”, lo stesso che Erich Von Stroheim è stato costretto a fare per tutta la sua carriera da regista, sulla “giostra” di Hollywood tra produttori presuntuosi e arroganti, tra manie di grandezza spropositate per un’azienda commerciale (come è il cinema), set abbandonati (o da cui è stato cacciato) e rulli di pellicola bruciati (per recuperare un poco d’argento) e espunti dalle versioni montate dei suoi film, quelle stesse che Von Stroheim ha disconosciuto cancellando il suo nome dai credits. L’esempio più fulgido del deturpamento artistico della sua opera, irreversibilmente manipolata dagli studios, è proprio Merry-Go-Round, film girato da Von Stroheim per tre quarti, prima di essere cacciato dal set da un giovanissimo Irving Thalberg, con l’accusa (infondata) di aver sperperato oltre $ 500.000 per i costumi. Oggi il film, sui titoli di testa della versione uscita nel 1925, porta la firma di Rupert Julian, un onesto mestierante chiamato dalla Universal per terminare il film. La coppia Carl Laemmle e Irving Thalberg, al comando della major si illude che, al nuovo regista, basti seguire la sceneggiatura dello stesso Von Stroheim per portare a termine il film nel migliore dei modi, mentre il montaggio, che nei credits porta la firma dello stesso Julian, viene in realtà portato a termine da Irving Thalberg, il quale è anche l’artefice del ridicolo e pessimo finale del film, che scardina completamente il senso dell’opera di Von Stroheim, ne mortifica le intenzioni artistiche e snatura la poetica e la drammaturgia dei primi cinquanta minuti di film (quelli diretti dal regista viennese), sostituendo con un sentimentalismo d’accatto e con un happy ending ridicolo e forzatissimo, il finale originale, girato (ma incompiuto) da Von Stroheim e mai montato in nessuna edizione del film.

LA RONDE (1950) di Max Ophuls

La giostra della vita, ovvero la “gabbia dorata” dell’illusione del piacere

Vienna 1900. Un narratore (Anton Wallbrook) entra in scena e recita davanti ad un palco, si cambia d’abito e si avvicina ad una giostra di quelle per i bambini: Il “girotondo” può cominciare

Il 7 Gennaio del 1897 Arthur Schnitzler termina la stesura di “Reigen” affermando che “Qualcosa di così irrappresentabile non si è ancora visto”, al punto che l’autore è dubbioso se dare alle stampe il suo dramma. Non a caso, la prima rappresentazione teatrale dell’opera è messa in scena solo venti anni dopo da Max Reinhardt al Kleines Schauspielhaus di Berlino nel 1921. E’ la prima di una serie di rappresentazioni tormentate e ostacolate dal moralismo e dalla furia censoria: a Vienna, tempo dopo, la messa in scena di “Reigen” scatena tumulti di piazza e interpellanze parlamentari. La Ronde di Max Ophuls viene girato in Francia tra il gennaio e il marzo del 1950. Durante i 43 giorni di lavorazione le riprese si interrompono continuamente a causa dell’insolvenza nei pagamenti della casa di produzione La Sacha Gordine. Il film una volta terminato viene presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, accolto con favore dalla critica internazionale e accompagnato da proteste e clamori che giungono, da parte cattolica, fino al limite della scomunica come dimostra il caso di Münster luogo in cui la chiesa impedisce la proiezione del film. Sin dal prologo, La Ronde svela la sua complessità registica, in cui, già nella sequenza iniziale emerge la cifra stilistica e avvolgente dei movimenti della macchina da presa di Ophuls: il piano sequenza iniziale viene realizzato dopo la costruzione di oltre cinquanta metri di binari, curve e scambi.

PAOLO CAVARA – GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo” (6)

Intervista a Pietro Cavara – 03 Maggio 2014

 

  • – Dopo tanto tempo, finalmente un libro su Paolo Cavara. Che cosa ne pensi?

È qualcosa che mi riempie di gioia. Sono sempre stato un ferreo sostenitore del suo cinema, ho combattuto e combatterò strenuamente per difendere la memoria dell’artista e delle sue opere, in questo mondo superficiale dove ogni cosa viene rapidamente sepolta dal corso degli eventi. Non è solo una questione di affetti, c’è anche di mezzo il senso di quello che mio padre ha espresso e che rivela spesso la sua grande personalità e la sua visione del mondo che io trovo affascinante perché affronta con stile ed eleganza tematiche di vita e di rapporti umani attualissimi, chiamando spesso in causa la sensibilità dello spettatore. Un’operazione editoriale come questa è uno schiaffo a coloro che hanno cercato in tutti questi anni in questo paese di occultare mediaticamente l’uomo e il suo cinema e che ancora oggi immagino in azione. Ma ne sono convinto: di schiaffi ce ne saranno altri.

Leggi l’intervista integrale e scopri la copertina del libro

 

PAOLO CAVARA – GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo”… di prossima pubblicazione (5)

E’ in arrivo la prima biografia/monografia dedicata al regista Paolo Cavara.

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo” è un libro ricco di documenti inediti e che si avvale del prezioso contributo del figlio del regista Pietro Cavara.

Al suo interno anche i soggetti integrali di Mondo Cane (1962) e de I Malamondo (1964)…e tutti i lavori inediti del regista, tra i quali:

L’UOMO A

L’Uomo A conosce nel tempo, circa un decennio, differenti titoli, modifiche di sceneggiatura e persino differenti firme di complemento. Rititolazioni, ritraduzioni, modificazioni minime o sostanziali, nuovi collaboratori, soggetti nuovi. Comunque mai niente di identico o di assolutamente ripetitivo […]…  (Pietro Cavara)

oltre a tutti gli altri che scoprirete nei prossimi post che ci guideranno verso la pubblicazione del volume.

Sul prossimo post LA COPERTINA DEL LIBRO e…una inedita Sorpresa! 

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Oggi parliamo de LA CATTURA (1969)

 

WILLIAM FRIEDKIN’S “RAMPAGE” (ASSASINO SENZA COLPA?) – Parte Seconda

180 secondi per morire: La vita di un essere umano innocente vale di più di quella di un pluriomicida?

Rampage è un film che letteralmente prende le distanze dallo spettatore. Quella di Friedkin è una messa in scena glaciale, anti-empatica. Lo sguardo del regista è oggettivo al fine di proporre allo spettatore un film in cui non è possibile nessun coinvolgimento emotivo ma solo una visione distaccata (e pertanto critica) degli eventi mostrati. In Rampage non c’è nessun intento introspettivo né tanto meno esornativo, ciò che conta è il non-luogo dello spazio persistente tra due opposti. William Friedkin impernia la costruzione filmica e narrativa su un tema ben preciso quello della linea di confine: una linea di demarcazione che separa il Bene dal Male, la giustizia dall’ingiustizia, la vita dalla morte, i dubbi dalle certezze, ma che trova la sua ricomposizione nella ritualità degli eventi per poi distaccarsi nuovamente e definitivamente nel racconto della scissione del comportamento umano diviso tra istinto e ragione, animalità e umanità. A tal proposito l’inizio appare programmatico, la lunga panoramica aerea che scende fino ad inquadrare Charles Reece in cammino sulla strada, pone lo spettatore davanti alla visione di una linea prima “invisibile”, e poi sempre più visibile fino all’identificazione con la strada, immersa e “nascosta” tra la continuità dei campi coltivati. La separazione, come indice di contrapposizione, ma anche come luogo fisico e non-luogo mentale, in cui il film si incunea nelle sue contraddizioni e ambiguità con l’intento dichiarato (sin dai primi fotogrammi) di non offrire allo spettatore nessun appiglio e di non concedere nessuna risposta.