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PAOLO CAVARA – GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo”… di prossima pubblicazione (4)

 

E’ in arrivo la prima biografia/monografia dedicata al regista Paolo Cavara.

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo” è un libro ricco di documenti inediti e che si avvale del prezioso contributo del figlio del regista Pietro Cavara.

Al suo interno anche i soggetti integrali di Mondo Cane (1962) e de I Malamondo (1964)…e tutti i lavori inediti del regista, alcuni dei quali scoprirete nei prossimi post che ci guideranno verso la pubblicazione del volume.  Seguiteci su questo blog!

L’OCCHIO SELVAGGIO (1967)

a seguire tutto quello che c’è da sapere……

PAOLO CAVARA – GLI OCCHI CHE RACCONTANO IL MONDO

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo”… di prossima pubblicazione (3)

 

E’ in arrivo la prima biografia/monografia dedicata al regista Paolo Cavara.

“Paolo Cavara – Gli occhi che raccontano il mondo” è un libro ricco di documenti inediti e che si avvale del prezioso contributo del figlio del regista Pietro Cavara.

Al suo interno anche interviste e  testimonianze con Paolo Cavara, Gianni Cavina, Roberto Lerici …e altri che scoprirete nei prossimi post che ci guideranno verso la pubblicazione del volume.  Seguiteci su questo blog!

Nel libro il soggetto originale e integrale de I MALAMONDO

L’esperienza di Mondo Cane, nel bene come nel male, è decisamente stata molto utile a Paolo Cavara, in quanto ne ha definito sia le ambizioni che il rafforzamento della sua etica morale. Quello che in parte non gli è riuscito durante il periodo di convivenza artistica con Jacopetti e Prosperi, trova compimento con I malamondo (1964), studio puntuale e mirato sui giovani europei nati e cresciuti dopo la guerra: i figli dell’era atomica. Niente di meglio che le parole dello stesso regista per definire i contorni dentro i quali si sviluppa il progetto del film: 

DIE KLAVIERSPIELERIN (LA PIANISTE – 2001) di Michael Haneke

Lo sguardo, la malattia, la normalità e il sorriso della iena

Michael Haneke presenta al festival di Cannes 2001 il suo adattamento cinematografico di Die Klavierspielerin (La pianista), romanzo scritto nel 1983 dal premio nobel per la letteratura Elfriede Jelinek. Oltre alla nazionalità austriaca, entrambi gli artisti hanno in comune una visione fredda e senza speranza della società in cui vivono. Elfriede Jelinek è una scrittrice austriaca scomoda e irriverente, combattuta soprattutto dalla FPO di Jorg Haider per i suoi temi e le sue opinioni spesso provocatorie e critiche nei confronti della nazione austriaca. Il suo romanzo Die Klavierspielerin, presenta una struttura compatta e allo stesso tempo discontinua e particolare. La prima parte incentrata sulle dinamiche familiari e sul rapporto simbiotico madre-figlia è interrotta da frequenti incursioni nell’infanzia di Erika in cui emblematicamente la protagonista non è mai chiamata con il suo nome ma diviene oggetto identificabile attraverso il pronome LEI. La seconda parte del romanzo è più classica e più sfrangiata e segue la tormentata storia di amore tra Erika e Walter. Haneke de-struttura l’opera della Jelinek, cancella i riferimenti al passato e alla gioventù di Erika e fa sostanzialmente cominciare la vicenda dall’incontro dell’insegnante con il giovane Klemmer (questi nel romanzo è già un suo allievo).

BEHIND THE GREEN DOOR (1972) dei Mitchell Bros.

Dietro la porta verde, il mito, il sogno e la disillusione

Behind the green door, è stato il primo lungometraggio hard-core ampiamente distribuito negli Stati Uniti. Il film è l’adattamento di un anonimo racconto omonimo, ispirato ad una leggenda metropolitana, che prende il titolo da “The Green door”, hit del 1956, e che all’epoca venne distribuito attraverso numerose copie carbone. Insieme a Deep Throat (Gola Profonda, 1972), quello dei Mitchell Bros., è il film che ha aperto la “Golden Age of Porn”, cioè quel breve periodo in cui la pornografia è stata fenomeno di massa intergenerazionale e interclasse. Uscito nelle sale americane il 17 dicembre 1972, girato con un budget di $60.000, Behind the green door ha incassato (compresa la distribuzione home-video) oltre 25 milioni di dollari, e negli anni ’70, con il dittico di Damiano Deep Throat e The devil in Miss Jones (id, 1972), è stato uno dei maggiori incassi di tutto il cinema americano. Nel maggio del 1973 è stato proiettato e applaudito al Festival di Cannes. La sua protagonista, divenuta star in seguito al clamoroso successo del film, non è una pornodiva. Marilyn Chambers, all’epoca è la testimonial pubblicitaria di un sapone per bambini Ivory Snow,  venduto con lo slogan: “99 e 44/100 %’ s pure”. I Mitchell Brothers, venuto a sapere di questa sua partecipazione, distribuiscono comunicati stampa in cui il film viene pubblicizzato con lo stesso slogan. L’indignazione dell’industria pubblicitaria, dopo l’uscita del film, è così profonda che la Procter & Gamble, titolare del marchio Ivory Snow decide di ritirare dal mercato tutte le confezioni dei prodotti su cui compare il volto di Marilyn Chambers. Tutta pubblicità gratuita per il film, il cui eco attraversa l’America da costa a costa e giunge persino sugli schermi televisivi dove la vicenda viene schernita con sketch e imitazioni varie, e apre lo stucchevole dibattito se la Chambers, abbia avuto o solo simulato l’orgasmo sul set.

DIE REBELLION (1993) di Michael Haneke

Der Letzte Mann

Die Ribellion (id. 1993) comincia con le immagini del funerale di Francesco Ferdinando nel 1914 a cui seguono le immagini documentarie della prima guerra mondiale. Mentre scorrono i titoli di testa il sonoro alterna audacemente vari inni nazionali: Tedesco, Francese, Americano, Inglese … quasi a voler contestualizzare il momento storico narrato a cornice necessaria agli eventi (cronologicamente successivi) dell’opera di Joseph Roth. Sensazione che si fa concreta in virtù del finale del film stesso, dove un lungo carrello segue il piede di Andreas Pum, con legato all’alluce il cartellino 073, lungo un corridoio dell’obitorio, per poi lasciarlo e seguire Willi uscire dalle camere mortuarie fischiettando. Willi esce fuori e la città inquadrata dall’alto fa da sfondo al cartello, a questo punto beffardo, Die Ribellion, cui seguono i titoli di coda sottolineati dal sonoro dell’allegro fischiettare di Willi. Quest’opera di Michael Haneke si presenta come la più formale dal punto di vista stilistico e interpreta il romanzo di Joseph Roth in modo molto libero e personale. Lo si deduce sia dall’aggiunta di alcuni dialoghi (come ad esempio quelli pronunciati dal tremante Bossi), sia dal tono rassegnato e freddo, quasi cronachistico, con cui Udo Samel interpreta la lettura in voce off dei dialoghi dal testo originale, in controtendenza con il senso di stupore e sorpresa che Roth innerva nella sua narrazione.

LO SQUARTATORE DI NEW YORK (1982) di Lucio Fulci

La città dell’ultima paura

Lucio Fulci gira il film definitivo; un film che mette in relazione il paese di Non si sevizia un paperino con la metropoli, un film il cui titolo iniziale doveva essere The Beauty Killer (interpretando al meglio tanto il contenuto del film quanto il rapporto tra morte e bellezza) e che viene girato tra l’agosto e l’ottobre del 1981. Lo squartatore di New York esce nel 1982, ed è il film-cerniera tra il decennio appena concluso ed i rampanti anni ’80: del primo conserva l’atmosfera morbosa e la fotografia plumbea, mentre dei secondi presagisce il “peggio” sia dal punto di vista visivo sia da quello narrativo; quello di Fulci è un film estremo, interamente imperniato sulla rappresentazione del Male, compenetrata tanto all’impulso omicida quanto al desiderio erotico. La sessualità è morbosa e umiliante al centro del film, l’atto sessuale vero e proprio è ridotto a mera rappresentazione (il live sexy-show), mentre la sua riproduzione nel film assume i toni aberranti di masturbazioni improprie (il piede del portoricano o la mano monca di Scallenda), e si coniuga perfettamente con la deriva gore e truculenta degli omicidi.

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Gli squartamenti sono ripresi in primo piano, con dovizia di particolari sanguinolenti, con la macchina da presa che indugia voyeuristicamente sulla “distruzione” dei corpi femminili. Non si tratta però né di compiacimento né di violenza gratuita, poiché Fulci, con Lo squartatore di New York ambisce a rappresentare una dichiarazione “autoriale” di impotenza: una resa di fronte al tempo, all’irrompere della violenza reale (proposta dai media) ben più truce e cruenta di quella della finzione; ma il film è anche una vera e propria presa di coscienza, in cui l’orrore (quello “vero” dei telegiornali) si è trasformato in spettacolo. Non a caso una delle battute centrali del film traduce pienamente il punto di vista del regista. Quando Fay è in ospedale, dopo l’aggressione, e confida a Peter di aver avuto un allucinazione in cui lui la uccideva, gli dice: “Che orrore… non riesco più a distinguere la realtà dall’immaginazione”, l’uomo risponde: “Non devi assolutamente avere paura delle tue fantasie… sono molto meno pericolose della realtà”.

ABEL FERRARA. UN FILMAKER A PASSEGGIO TRA I GENERI – INTERVISTA a CINEBLOG.IT

Abel Ferrara: un filmaker a passeggio tra i generi – intervista e recensione

di Antonio Maria Abate 23 Novenmbre 2013

Cinema come viaggio, come avventura. Perdersi nei meandri dell’esistenza, scandagliando gli angoli bui non solo per sondare l’oscurità ma soprattutto per comprendere dove sia la luce e quale sia il suo valore. Questo è ciò che traiamo dall’esperienza di Abel Ferrara dietro la macchina da presa, uno che s’incazzerebbe qualora osaste porgli la realtà da un lato e il cinema dall’altro – celebre in tal senso una sua affermazione relativa all’inscindibilità delle due cose.

Il lavoro del Professor Fabrizio Fogliato ci parla esattamente di questo viaggio nel suo Abel Ferrara – Un filmaker a passeggio tra i generi (Ed. Sovera, 2013). Una ricerca condotta con l’occhio di chi Ferrara non soltanto lo conosce, ma lo ha interrogato, partendo e soffermandosi proprio su ciò che più conta, ossia la sua opera; perché come diceva qualcuno, non c’è miglior modo di sondare il valore di un artista, ciò che gli sta più a cuore.

Per saperne di più….leggi l’intervista integrale

SCHLOSS VOGELÖD (1921) di F.W. Murnau

Fantasmi da un passato poco conosciuto

Schloss Vogelöd è il film che precede Nosferatu – Eine Symphonie des Grauens (Nosferatu, 1921). Schloss Vogelöd appartiene a quella serie di opere meno conosciute del regista tedesco rislaenti al periodo in cui è sotto contratta con la Decla-Bioscop, periodo in cui, nonostante il successo di film come Der Gang in die Nacht (Il cammino della notte, 1920), non viene ancora ritenuto dalla critica un grande artista bensì solo un’interessante e promettente giovane di talento. Quello alla Decla-Bioscop è il periodo in cui F.W.Murnau affina la sua capacità, unica, di costruire, in situazioni normali e ordinarie (utilizzando gli elementi naturali, luce, aria, acqua…) un atmosfera carica di minaccia e di sfumature vagamente misteriosi e inquietanti.

THE PRIVATE AFTERNOONS OF PAMELA MANN (1974)

I racconti proibiti di una signora perbene, ovvero, quando la verità coincide con il desiderio

Nel 1974, Radley Metzger autore fino a quel momento di interessanti soft-core, tra i quali Therese e Isabelle (id., 1968), The Lickerish Quartet (id., 1970) e Score (id., 1972, ma esiste anche una versione con inserti hard), con lo pseudonimo di Henry Paris comincia a firmare film pornografici caratterizzati da una spiccata cifra autoriale. L’uscita di The private afternoons of Pamela Mann, avvicina il cinema hard a quello hollywoodiano ricalcando gli stilemi della “Sofisticated Comedy” anni ’50, e spinge il celebre critico dell’Hollywood Press, Bill Margold, a scrivere: “The Private Afternoons of Pamela Mann segna la fine dei film porno usa e getta, privi di scopo, masturbatori, che entrano in un orifizio ed escono dall’altro” (Hollywood Press, Aprile 1975). Definito come “l’altro lato di Gerard Damiano” il cinema di Metzger/Paris è caratterizzato da un’ironia gustosa ed esplicita (anche nella scene di sesso) in netta contrapposizione con la serietà, la malinconia e la crudezza delle opere dell’ex-parrucchiere newyorkese: non a caso quello di Metzger/Paris è conosciuto come “porno-chic.